giovedì 10 giugno 2021

IN COLOMBIA

 Colombia: represse nel sangue le proteste contro la riforma fiscale


di Samuel Bregolin  7 Maggio 2021
 Osservatorio dei Diritti

Dal 28 aprile scorso, giorno in cui sono iniziate le proteste contro la nuova proposta di riforma fiscale, la situazione in Colombia è andata fuori controllo. Sono centinaia le denunce di violazioni dei diritti umani commesse delle forze dell’ordine, decine le uccisioni a sangue freddo già confermate.
Davanti a varie ambasciate europee in questi giorni si stanno riunendo i colombiani residenti all’estero, chiedendo di mettere fine ai massacri, mentre sulle reti sociali circolano decine di video sanguinari con esecuzioni sommarie per strada, dove si nota l’uso di armi da fuoco contro la popolazione da parte di agenti della polizia colombiana.
I numeri raccolti tra il 28 aprile e il 5 maggio dalla ong Temblores, specializzata nel registro della brutalità poliziesca, parlano di 1.708 casi di violenza poliziesca, di cui 871 arresti non giustificati, 312 interventi violenti e 110 interventi con uso di armi da fuoco. A causa di queste violenze 32 persone hanno perso la vita, 22 hanno perso un occhio e 10 donne hanno subito uno stupro.
Nella denuncia contro l’uso indiscriminato della forza da parte della forze di polizia colombiana si sono unite all’unisono praticamente tutte le organizzazioni internazionali e le ong presenti nel paese, Amnesty international, la commissione Onu per i diritti umani e Human Rights Watch.
A sorpresa, si è espresso anche il Dipartimento di Stato degli Stati Uniti, da sempre un fedele alleato dei governi e dei presidenti che nel tempo si sono succeduti nella Casa de Nariño, che ha espresso le proprie condoglianze per le famiglie delle persone decedute e ha sottolineato come in qualsiasi paese democratico sia inalienabile il diritto di manifestare e protestare pacificamente.
L’evento che ha scoperchiato il vaso di pandora colombiano è stata la proposta di legge per una nuova riforma fiscale. Il paese ha subito dei duri colpi economici a causa della pandemia, molte piccole e medie aziende hanno dovuto chiudere i battenti nel corso del 2020, in molti quartieri poveri delle principali città le famiglie si sono ritrovate senza alimenti.
In questo contesto, la riforma fiscale proposta dal presidente Ivan Duque cerca di raccogliere circa 6.850 milioni di dollari aumentando il prezzo dell’elettricità e dei servizi di base e aumentando l’Iva su prodotti e beni di prima necessità, come farina, uova e zucchero, in un paese in cui lo stipendio minimo è di circa 234 dollari mensili.
Il governo di Duque naviga in cattive acque già dal 2019, quando scoppiò uno sciopero nazionale che durò per varie settimane, causando centinaia di feriti e la morte del giovane Dilan Cruz, come documentò Osservatorio Diritti.
Da allora, nonostante lo stop dovuto alla pandemia per il coronavirus, sembra che l’insoddisfazione popolare non abbia fatto altro che crescere. Sotto accusa non è solamente la recente riforma fiscale, ma anche e soprattutto l’abbandono dell’implementazione degli Accordi di pace, le nuove rivelazioni sui falsos positivos – ossia le vittime di esecuzioni extragiudiziali perpetrate dalla forze armate durante la presidenza Uribe (leggi Colombia: presidenza Uribe, uccise oltre mille persone l’anno dai militari) – fatte dalla Jep, il tribunale transizionale per la pace, e l’aumento della persecuzione contro i leader sociali e i difensori dei diritti umani.
Non per ultimo, il recente annuncio dell’acquisto di 24 aerei da guerra dalla nordamericana Lockheed Martin per una spesa di circa 14 miliardi di dollari, ha suscitato non poche polemiche.
Sono soprattutto i molti video condivisi sui social network che permettono di conoscere le violenze che stanno avvenendo in questi giorni in zone rurali del paese e nei quartieri popolari delle grandi città. Sono decine i filmati in cui si distinguono chiaramente le forze di polizia colombiane intervenire con armi da fuoco contro la popolazione locale.
In alcuni video esaminati da Amnesty international, l’organizzazione ha potuto confermare l’uso indiscriminato della forza e delle armi al di fuori dei protocolli.
«È preoccupante vedere le forze dell’ordine esercitare il controllo con delle armi da fuoco in mano. Lo scontento delle persone a causa della crisi economica è chiaro, ma è ingiusto che mettano a repentaglio i loro diritti umani per dimostrarlo», ha dichiarato Erika Guevara-Rosas, direttrice per le americhe di Amnesty International.
Cosa succede a Cali, epicentro delle proteste
Nella notte tra il 2 e il 3 maggio la città di Cali è diventata l’epicentro delle proteste e della repressione, in una notte di terrore che ha causato la morte di almeno 21 persone e in cui si è sfiorato l’intervento dell’esercito colombiano.
Secondo quanto dichiarato dai vari leader sociali e difensori dei diritti umani di Cali, l’Esmad, gli squadroni mobili antisommossa, l’unità speciale della polizia colombiana per il controllo dei disturbi sociali, è intervenuta alle 20.30 nel corso di una manifestazione pacifica nella quale erano presenti famiglie, anziani e bambini. I video condivisi sui social network mostrano scene da conflitto armato.
«Ci hanno cacciato a pedate, ci hanno aggredito con molta superbia e violenza. L’ordine che abbiamo ricevuto dalle forze dell’ordine è quello di non avvicinarci, ma come possiamo documentare le violazioni ai diritti umani se non siamo presenti durante i fatti?», dice Ivan Ospina, avvocato difensore dei diritti umani dell’associazione Soñadores Siloé. 
 «Abbiamo bisogno di una campagna di comunicazione internazionale per difenderci dalla guerra interna che lo stato colombiano sta facendo contro i suoi cittadini. Abbiamo visto persone in borghese scendere da anonimi camion e sparare contro la popolazione, adesso inizieranno anche a far scomparire i video condivisi sui social network per eliminare ogni prova».