Luigi Sandri, vaticanista
L'Adige.
È
partita un’iniziativa-chiave del pontificato in atto che, se fiorirà,
determinerà una svolta profonda nella strutturazione storica della
Chiesa cattolica romana: l’avvio virtuale dell’Assemblea generale del
Sinodo dei vescovi che si celebrerà, in realtà, nel 2023, ma che in
questi due anni di preparazione dovrebbe arricchirsi degli apporti
dell’intero “popolo di Dio” per affrontare le sfide
dell’evangelizzazione all’alba del XXI secolo.
Senza
entrare nel dettaglio del “che fare?”, Francesco ha indicato alcune
prospettive di fondo: “Fare Sinodo – ha detto, parlando ieri nella
basilica vaticana – è scoprire con stupore che lo Spirito Santo soffia
in modo sempre sorprendente, per suggerire percorsi e linguaggi nuovi. È
un esercizio lento, forse faticoso, per imparare ad ascoltarci a
vicenda, tutti i battezzati, evitando risposte artificiali e
superficiali… Papa, vescovi, sacerdoti, religiose e religiosi, sorelle e
fratelli laici, noi, comunità cristiana, siamo disposti all’avventura
del cammino o, timorosi delle incognite, preferiamo rifugiarci nelle
scuse del ‘non serve’ o del ‘si è sempre fatto così’?”.
Per
ottenere tale risultato, Bergoglio ha cambiato profondamente
l’architettura del prossimo Sinodo, dedicato proprio a definire
l’identikit stesso di tale Assemblea (germinalmente creata da Paolo VI
nel 1965, nel clima del Concilio Vaticano II): da domenica prossima, i
vescovi di tutto il mondo dovranno organizzare le rispettive diocesi in
modo da ascoltare i loro fedeli, anche quelli che non frequentano molto
le parrocchie, per sentire i loro “desiderata”.
Questo ascolto durerà
sei mesi: dopo di che ogni Conferenza episcopale farà una sintesi delle
varie proposte. Poi, a livello continentale, le Conferenze faranno la
sintesi dei loro contributi. Infine, nell’ottobre del ’23 si celebrerà a
Roma il Sinodo vero e proprio.
Dunque
ci si aspetta che, dalla base ai vertici (semplice gente battezzata,
diaconi, presbìteri, vescovi), arrivino le proposte che infine il Sinodo
finale vaglierà. In questa procedura, per ora, non è affatto chiaro se,
tra due anni, anche le donne potranno o no votare; in altre parole, se,
accanto ai “padri”, ci saranno anche le “madri”. Nel Sinodo
sull’Amazzonia del 2018 il papa aveva rifiutato di far votare le donne
sul documento finale che raccoglieva le “raccomandazioni”
dell’Assemblea.
Già
l’altro giorno, sempre prospettando il prossimo appuntamento, il
pontefice aveva precisato: “Ribadisco che il Sinodo non è un parlamento,
o un’indagine sulle opinioni; esso è un momento ecclesiale, e il
protagonista del Sinodo è lo Spirito Santo”. E poi: “Siamo costretti a
registrare il disagio e la sofferenza di tanti operatori pastorali,
degli organismi di partecipazione delle diocesi e delle parrocchie,
delle donne che spesso sono ancora ai margini».
La
parola, ora, alle diocesi cattoliche del mondo: esse – circa tremila –
potranno svuotare o, invece, inverare, il sogno di Francesco. Vietate le
furbizie per mantenere uno status quo non oltre tollerabile.