lunedì 28 marzo 2022

AFRICA: DONNE AL POTERE

Donne e potere in Africa. Il caso della Tanzania


09 Febbraio 2022 
Bruna Sironi 
Nigrizia

In gennaio l’assemblea nazionale della Tanzania ha eletto all’unanimità una donna, Tulia Ackson Mwansasu, come sua presidente. 45 anni, di professione avvocata, fino al 6 gennaio era la vicepresidente di Job Ndugai, dimessosi per contrasti con il suo partito, il Partito della rivoluzione (Chama Cha Mapinduzi – Ccm) la forza politica dominante, di fatto al governo dall’indipendenza. Il Ccm, fondato da Julius Nyerere, è nato infatti nel 1977 dalla fusione dei partiti del Tanganika e di Zanzibar che avevano formato la Repubblica Unita della Tanzania nel 1964.
Tulia Ackson Mwansasu è la seconda donna a guidare il parlamento nella storia del paese. La prima fu Anne Makinda che la diresse dal 2010 al 2015. La  sua nomina fa della Tanzania il primo paese africano ad avere contemporaneamente due donne nei posti di massimo potere. 
Infatti è donna anche la presidente, Samia Suluhu Hassan, la prima a ricoprire questa carica dall’indipendenza. Samia Suluhu, nata nel 1960, ha una lunga esperienza politica, iniziata nel parlamento di Zanzibar, di cui è originaria.
Ѐ stata scelta come vicepresidente, la prima nel paese, da John Magufuli, eletto presidente nel 2015 e rieletto insieme a Samia nel 2020. Magufuli è morto improvvisamente il 17 marzo 2021, per complicazioni cardiache, e Samia Suluhu ha preso il suo posto, come prevede l’ordinamento del paese.
Il suo potere è stato consolidato poche settimane dopo, quando, il 30 aprile, è stata eletta presidente anche del Ccm. Ha già fatto sapere che si candiderà nelle elezioni del 2025, puntando a diventare la prima presidente eletta. Ѐ interessante sottolineare che è la prima donna musulmana a raggiungere le vette del potere in un paese in cui la popolazione è in maggioranza cristiana.
Samia Suluhu è in questo momento una delle due donne presidenti in Africa. L’altra è Sahle-Work Zewde, presidente dell’Etiopia, eletta all’unanimità dal parlamento federale di Addis Abeba il 25 ottobre 2018.
Nel continente sono state precedute da una manciata di ex colleghe. La prima donna eletta alla massima carica, e la più famosa, è Ellen Johnson Sirleaf, presidente della Liberia dal 2006 al 2018. Poi è stata la volta di Ameenah Gurib-Fakim, eletta all’unanimità presidente delle isole Maurizio dall’assemblea nazionale, in carica dal 2015 al 2018.  Alcune altre hanno invece sostituito i presidenti, per qualche motivo indisponibili.
Slyvie Kiningi, fu presidente provvisoria del Burundi nel 1993, e nel 1994, dopo l’assassinio del presidente in carica, si attivò per dare continuità di governo al paese. Rose Francine Rogombe governò per qualche mese il Gabon, nel 2009, dopo la morte del presidente Bongo. La mauriziana Agnes Monique Ohsan Bellepeau, Joyce Hilda Banda del Malawi, Catherine Samba della Repubblica Centrafricana hanno storie simili.
Ma la Tanzania è finora l’unico paese in cui due donne hanno le cariche istituzionali più rilevanti. La circostanza mette in luce il fatto che, generalmente parlando, le donne in Africa ricoprono ormai posizioni istituzionali non troppo sotto la media dell’Europa e si collocano meglio che in altre parti del mondo.
Secondo i dati di IPU Parline, un’organizzazione che monitora la presenza delle donne nei parlamenti di circa 190 paesi, al 1° gennaio di quest’anno le donne ricoprivano globalmente il 25,9% dei posti. In Africa subsahariana erano proprio il 25,9%, in media perfetta, contro il 33,5% delle Americhe e il 33,1% dell’Europa. Distanziati gli stati del Pacifico (con il 20,9%), l’Asia (con il 20,7%), e soprattutto il Medio Oriente e l’Africa settentrionale, con il 16,9%.
Al primo posto per il numero di donne parlamentari si trova il Rwanda, con il 61,3% (49 parlamentari su un totale di 80). I paesi del Nordeuropa (Islanda, Svezia, Norvegia, Finlandia) percepiti come quelli in cui la parità tra i sessi è ormai raggiunta o quasi, si collocano nei primi 15 posti, con percentuali che vanno dal 47,6 al 45%. L’Italia è al 39° posto, con il 36,3%.
Il fatto che le donne abbiano un certo peso in politica, non è però garanzia che nel continente si stiano facendo altrettanti passi avanti verso l’uguaglianza tra uomini e donne.
In Tanzania, ad esempio, John Magufuli, negli ultimi mesi di vita, aveva decretato l’espulsione delle ragazzine incinte e delle giovanissime madri dalla scuola, suscitando ovviamente una ventata di polemiche, perché le condannava ad una vita di emarginazione e povertà, evitando di cercare e colpire chi le aveva abusate, non raramente i loro stessi insegnanti.
Alla sua elezione, molti si erano chiesti se Samia avrebbe continuato le politiche del suo predecessore, considerando uno dei banchi di prova proprio il destino scolastico delle madri adolescenti. Solo lo scorso novembre la draconiana e ingiusta disposizione è stata revocata e le porte delle scuole si sono riaperte per le giovanissime madri, permettendo anche a quelle escluse negli anni precedenti di accedere all’istruzione.
La decisione della presidente, che avrebbe dovuto essere considerata di normale giustizia e buon senso, tanto più doverosa per una donna, è stata salutata quasi come un atto “rivoluzionario”, tra quelli che hanno dato una svolta al suo mandato presidenziale.
Analisti seri hanno valutato la disposizione come un elemento per giudicare se la presidente della Tanzania avrebbe potuto essere considerata non solo un capo di stato donna, ma anche una “femminista”, diciamo meglio, una presidente che avrebbe impostato politiche a favore delle donne. Basta davvero poco, insomma, per guadagnarsi un’immagine che implicherebbe ben altre decisioni.
Se poi guardiamo al potere delle donne africane nel mondo, notiamo che nella lista compilata dalla rivista Forbes per il 2021 ne troviamo solo 3 su 100. E precisamente: Ngozi Okonjo-Iweala, nigeriana, dal 7 febbraio dell’anno scorso direttrice dell’Organizzazione mondiale del commercio, Samia Suluhu e Mo Abudu, pure nigeriana, magnate nei media del suo paese, descritta dalla rivista come la donna di maggior successo in Africa. 
Davvero poco per un intero continente.
Sembra insomma di poter dire che al posto non irrilevante conquistato nelle istituzioni non corrisponda un posto altrettanto riconosciuto nella società, nell’economia e nella cultura, e che complessivamente la parità tra uomini e donne sia ancora molto lontana dall’essere raggiunta nel continente.
Certamente in questa dicotomia pesano gli squilibri enormi tra i gruppi sociali, per cui per le elite, che mandano i rappresentanti al parlamento, la situazione non è troppo diversa che nel nord del mondo, ma per le donne normali, le condizioni sono ancora di subalternità, se non addirittura di sottomissione.
Un esempio, per tutti. La nuova costituzione del Kenya, approvata nel 2010, ha reintrodotto la poligamia, non prevista in quella precedente, come uno dei possibili regimi matrimoniali. E le donne che siedono al parlamento non hanno trovato un accordo e le alleanze necessarie per opporvisi.