venerdì 3 giugno 2022

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2. LA SINDONE DI TORINO: UN PO' DI STORIA

     di ERNESTO AYASSOT (continua)

 

E si potrebbe così continuare se non premesse tornare alla Sindone di Torino, intorno alla cui origine molte leggende, non dissimili da quelle che abbiamo citato, si «intrecciano e si contraddicono sino al momento in cui si può dire che «entrò nella storia» con notizie abbastanza attendibili, che permettono di seguirne le vicende in modo pressoché sicuro. Ciò avvenne però assai taidi, verso la metà del secolo XIV, molto probabilmente nel 1349.

In un documento conservato nella Biblioteca Nazionale di Parigi si legge:

 

Il conte Goffredo di Charny, Signore di Lirey, in ricompensa del suo valore, ricevette dal re Filippo di Valois la Santa Sindone di Nostro Signore, Salvatore e Redentore Gesù Cristo, insieme con un notevole pezzo della vera croce e molte altre reliquie destinate a essere conservate nella chiesa che egli spera di poter costruire in onore della gloriosa Vergine Maria3.

 

Da quella data, anche se permangono alcuni punti misteriosi nelle successive vicende della Sindone, si può, con sufficiente precisione, seguirne le sorti, anche se fu proprio in quel periodo che apparve nella medesima zona di Francia, una Sindone «sosia», che i possessori asserivano fosse la vera, riuscendo per molto tempo a sostenerne la presunta identità, tanto che durante la Convenzione Nazionale della Rivoluzione Francese (1792-95), i membri del «Comitato di Salute Pubblica» la portarono trionfalmente a Parigi e, per compiere un atto di simbolica distruzione di ogni superstizione, la lacerarono per farne bende per i feriti in guerra.

Sarebbe troppo lungo addentrarci nelle lunghe e complicate polemiche tra i sostenitori dell'una o dell'altra Sindone, polemiche nelle quali furono chiamati a fungere da arbitri nobili e prelati, vescovi e persino il re di Francia ed il papa di Avignone Clemente VII4, senza che alcuna parola definitiva venisse pronunciata.

La Sindone che il Signore di Lirey aveva affidato ai canonici della sua cittadina subì ancora, nel secolo seguente, varie peripezie dovute soprattutto alle continue guerre che tormentarono il XV secolo francese, finché nel 1448 - alla morte del conte Umberto de la Roche, che aveva in consegna la reliquia - la sua vedova, Caterina di Charny, la porto con sé nella capitale della Savoia, Chambéry, ove ne fece omaggio alla duchessa Anna di Lusignano, moglie di Ludovico di Savoia e figlia del re di  Cipro. Pare che il dono fosse interessato perché la contessa di Charny sperava che il duca di Savoia si adoprasse per ottenere il riscatto del presunto erede del defunto conte di Charny, Francesco de la Palud, che era prigioniero dei turchi.

Iniziava così l'ultimo atto della travagliata storia della Sindone, divenuta, com'è tuttora, proprietà della Casa di Savoia. Ma anche in quest'ultimo atto non mancano i sensazionali colpi di scena. A Chambéry il duca di Savoia aveva fatto allestire nel 1502 una speciale cappella per conservarvi la reliquia, rinchiusa in una nuova teca d'argento; ma trent'anni dopo (3 dicembre 1532) un terribile incendio, scoppiato nella sacrestia della cappella, rischiò di distruggere la reliquia. Il fuoco, l'argento della custodia che si era in parte fuso e l'acqua adoperata per spegnere l'incendio lasciarono sul telo tracce ancora visibili, nonostante i rammendi operati con gran cura, due anni dopo, dalle Clarisse di Chambéry. Né erano terminate così le peripezie della reliquia. Essa seguì infatti le vicende dei duchi di Savoia.

Quando, nel 1535, il duca di Savoia Carlo III si schierò a fianco dell'imperatore Carlo V, in guerra contro il re di Francia Francesco I, e dovette rifugiarsi a Torino e poi a Vercelli, portò con sé la Sindone, che lo seguì anche a Nizza (1536), dove fu firmata la tregua detta «dei dieci anni». Nel 1561 il suo successore, duca Emanuele Filiberto, tornò a stabilirsi a Chambéry, riportandovi ovviamente la reliquia. Qui sarebbe forse rimasta ancora a lungo se non per un fatto abbastanza inconsueto, collegato con la fine della famosa peste di Milano ai tempi di Carlo Borromeo. Ecco in breve come andarono le cose: Il cardinale di Milano Carlo Borromeo aveva fatto voto di peregrinare a piedi per venerare la Sindone, quando la sua città fosse stata liberata dal terribile flagello. Così avvenne nel 1578, ma il duca Emanuele Filiberto, avuta notizia delle intenzioni del cardinale, volle abbreviargli il lungo viaggio, particolarmente nella parte più faticosa e pericolosa, ossia la traversata delle Alpi, e decise che la Sindone gli andasse incontro a metà strada. Fu così che la reliquia arrivò a Torino e vi si stabilì, anche a sottolineare l'importanza della città, divenuta nel frattempo capitale del ducato di Savoia, nonostante le vivaci proteste dei i savoiardi, che se ne ritenevano defraudati.

Oltre un secolo più tardi, il duca Vittorio Amedeo II fece progettare e costruire dal Guarini la cappella che ancora oggi la ospita (1694). La cappella è collegata alla cattedrale da una doppia scala e, mediante un corridoio, al Palazzo Reale, quasi a ricordare la comproprietà della reliquia tra la chiesa e Casa Savoia. I cancelli infatti che proteggono l'arca in cui la Sindone è conservata possono essere aperti soltanto da tre chiavi, che sono tutte e tre necessarie per l'apertura e che sono in mano: una del capo di Casa Savoia, una dell'arcivescovo di Torino ed una del prelato che ha in custodia la reliquia. Per qualsiasi ostensione è sempre stato pertanto necessario il consenso delle tre autorità responsabili, il che presenta oggi qualche difficoltà in più, da quando i Savoia hanno perso il trono e vivono in esilio.

In questo secolo ci sono state soltanto due ostensioni pubbliche: nel 1931 per le nozze del principe Umberto e nel 1933 per la celebrazione del centenario della morte di Gesù (anno santo).

Durante la seconda guerra mondiale la reliquia fu segretamente portata via da Torino, per sottrarla ai pericoli dei bombardamenti, e trovò rifugio nel Santuario di Montevergine, dove rimase fino al termine del conflitto, per poi tornare a Torino. Negli ultimi anni, in altrettanta segretezza, ne fu concessa una ispezione da parte di ristrettissimi gruppi di studiosi che ne hanno poi abbondantemente scritto, come dimostra la ricca bibliografia dell'ultimo ventennio5.

Fin qui i dati, che, nonostante alcune incertezze, si possono dire «storici», almeno per gli ultimi cinquecento anni. Ma come mai la reliquia fece la sua apparizione in una cittadina della Champagne, ben tredici secoli dopo la sua presunta origine, ossia il giorno della morte e del seppellimento di Gesù?

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3 Dal «Memoriale della chiesa di Lirey (Collezione de Camp, Parigi, Biblioteca Nazionale). Il «Memoriale» non può essere datato oltre il 1349 perché il conte di Charny cadde prigioniero degli inglesi il 1° gennaio 1350 e morì pochi mesi dopo. Cit. da J.L. CARRENO ETXEANDIA, salesiano, La Sindone – ultimo reporter, ed. ital., Torino, 1976.

4 Si tratta di Roberto di Ginevra, cugino del re di Francia ed ex comandante delle armate papali in Italia, che fu papa di Avignone dal 1378 al 1394, agli inizi dello scisma papale.

5 Vedi la nota bibliografica al termine del presente scritto.


(continua)