Commento alla lettura biblica - domenica 30 dicembre 2007
Quando venne il tempo della loro purificazione secondo la Legge di Mosè, portarono il bambino a Gerusalemme per offrirlo al Signore, come è scritto nella Legge del Signore: ogni maschio primogenito sarà sacro al Signore; e per offrire in sacrificio una coppia di tortore o di giovani colombi, come prescrive la Legge del Signore. Ora a Gerusalemme c'era un uomo di nome Simeone, uomo giusto e timorato di Dio, che aspettava il conforto d'Israele; lo Spirito Santo che era sopra di lui, gli aveva preannunziato che non avrebbe visto la morte senza prima aver veduto il Messia del Signore. Mosso dunque dallo Spirito, si recò al tempio; e mentre i genitori vi portavano il bambino Gesù per adempiere la Legge, lo prese tra le braccia e benedisse Dio: «Ora lascia, o Signore, che il tuo servo vada in pace secondo la tua parola; perché i miei occhi han visto la tua salvezza, preparata da te davanti a tutti i popoli, luce per illuminare le genti e gloria del tuo popolo Israele». Il padre e la madre di Gesù si stupivano delle cose che si dicevano di lui. Simeone li benedisse e parlò a Maria, sua madre: «Egli è qui per la rovina e la risurrezione di molti in Israele, segno di contraddizione perché siano svelati i pensieri di molti cuori. E anche a te una spada trafiggerà l'anima». C'era anche una profetessa, Anna, figlia di Fanuèle, della tribù di Aser. Era molto avanzata in età, aveva vissuto col marito sette anni dal tempo in cui era ragazza, era poi rimasta vedova e ora aveva ottantaquattro anni. Non si allontanava mai dal tempio, servendo Dio notte e giorno con digiuni e preghiere. Sopraggiunta in quel momento, si mise anche lei a lodare Dio e parlava del bambino a quanti aspettavano la redenzione di Gerusalemme. Quando ebbero tutto compiuto secondo la legge del Signore, fecero ritorno in Galilea, alla loro città di Nazaret. Il bambino cresceva e si fortificava, pieno di sapienza, e la grazia di Dio era sopra di lui (Luca 2, 22-40).
Siamo di fronte ad un racconto leggendario costruito da Luca con precisi intenti teologici: per l'evangelista (che scrive almeno 80 anni dopo la nascita di Gesù e circa 50 dopo la sua morte) si tratta di "dimostrare" che Gesù era l'atteso di Israele, quello di cui i profeti avevano preannunciato la venuta.
In realtà Luca parla alla sua comunità in cui la tensione si era un po' affievolita e vuole riproporre questo spirito di "attesa" alla sua generazione di credenti.
Anna (= misericordia) e Simeone (=Dio ha ascoltato) diventano per Luca dei cristiani esemplari. Egli con il consueto processo di retroproiezione colloca già all'inizio della vita di Gesù, quel "riconoscimento" che avvenne solo molto più tardi.
Può darsi che Maria e Giuseppe, in ossequio alla legge del tempo, abbiano portato al tempio di Gerusalemme Gesù. In realtà non tutti erano rigorosamente tenuti a questo adempimento.
La presentazione al tempio, in ogni caso, è qui più un "episodio" simbolico che non un dato storico. Il racconto, inoltre, congiunge la "purificazione" di Maria a quella del bambino che non era contemplata da nessuna legge. Il libro del Levitico stabiliva per la donna dopo il parto uno stato di impurità della durata di quaranta giorni durante i quali erano limitati i suoi contatti comunitari e preclusa la sua partecipazione alle funzioni religiose.
L'evangelista qui, facendo un po' di confusione su rituali ebraici che non conosce bene, parla della "loro purificazione" coinvolgendo anche Giuseppe, ma la legge (scritta da uomini) non contempla nessuna impurità maschile.
Ovviamente Gesù, se fu portato al tempio, passò del tutto inosservato e nessuno si accorse dell'arrivo di questa famigliola di gente semplice. I poveri, quando nascono e quando muoiono, non hanno attorno alla culla o alla cassa da morto tanta ressa.
L'intento di Luca è teologico: ecco è arrivato il messia, luce per le nazioni e gloria per Israele e i giusti lo riconoscono. Le attese sono realizzate.
Lo si riconosce lentamente
La realtà del nostro incontro con Gesù, della "scoperta" del suo messaggio radicale e sovversivo, l'accoglienza reale del suo invito a "cambiare vita" avviene molto lentamente in ciascuno di noi.
Ma le figure di Simeone e Anna, anche se "creazioni" dell'evangelista Luca, sono davvero molto significative. Esse rappresentano l'apertura del cuore al dono di Dio, lo sguardo rivolto al futuro, due esistenze piene di fiducia.
In questo Simeone ed Anna parlano ai nostri cuori e la loro testimonianza risulta davvero efficace; solo chi si radica nella fiducia in Dio, solo chi si affida alle "promesse" della Parola di Dio sa vedere cieli e sentieri di salvezza nel presente e nel futuro.
La loro vita ha saputo attendere, guardare lontano, dice Luca alla sua comunità che qualche volta perde i colpi e si scoraggia quando non si vedono i frutti dell'impegno profuso.
E' un messaggio che va diritto al nostro cuore, alla nostra esistenza quotidiana. Simeone ed Anna sono persone vibranti di passione, di amore; sono l'opposto del credente abitudinario, stretto tra routine e progressivo raffreddamento.
Direi che oggi questo mantenere il nostro cuore caldamente e saldamente ancorato al sogno di Dio è la sfida centrale per ciascuno/a di noi proprio mentre le vecchie logiche del potere si impongono nel mondo e nella chiesa.
E' inevitabile che, sulla strada di Gesù, qualche "spada trapassi la nostra anima", come annuncia Simeone a Maria. Non certo perchè a noi piaccia cacciarci nelle sofferenze o cercarci dei guai, ma perchè il sentiero di Gesù trova opposizioni e crea scompiglio e inquietudine sia in chi lo contrasta che in chi cerca di percorrerlo.
Anche lui cresceva
E' bello pensare al nostro "fratello Gesù", come scrivono tanti studiosi ebrei, che ha percorso l'ineludibile sentiero della crescita. Anche Gesù, come ognuno/a di noi (pur avendo ricevuto da Dio una missione che scoprirà molto lentamente...) ha dovuto ascoltare ed imparare il messaggio delle Scritture, cercare la volontà di Dio, scegliere tra amore ed egoismo, affrontare le incertezze, affrontare le difficoltà.
Questo fatto conferisce fiducia alla nostra vita quotidiana. Più che interrogarci e torturarci sui risultati e sui traguardi raggiunti, è stimolante percorrere sentieri di crescita, in cammino come Gesù, sapendo che l'amore di Dio è su di noi, ci accompagna. Crescere vuol dire cambiare, aprirci, credere nella vita, affidarci a quel Dio che ci accompagna.
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Essi erano appena partiti, quando un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe e gli disse: “Alzati, prendi con te il bambino e sua madre e fuggi in Egitto, e resta là finchè non ti avvertirò, perché Erode sta cercando il bambino per ucciderlo”. Giuseppe, destatosi, prese con sé il bambino e sua madre e nella notte fuggì in Egitto, dove rimase fino alla morte di Erode, perché si adempisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: dall’Egitto ho chiamato il mio figlio. [...] Morto Erode, un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe in Egitto e gli disse:”Alzati, prendi con te il bambino e sua madre e va’ nel paese di Israele; perché sono morti coloro che insidiavano la vita del bambino”. Egli, alzatosi, prese con sé il bambino e sua madre, ed entrò nel paese di Israele. Avendo però saputo che era re della Giudea Archelào al posto di suo padre Erode, ebbe paura di andarvi. Avvertito poi in sogno, si ritirò nelle regioni della Galilea e, appena giunto, andò ad abitare in una città chiamata Nàzareth, perché si adempisse ciò che era stato detto dai profeti: “Sarà chiamato Nazareno” (Matteo 2, 13-15.19-23).
Sognatori e sognatrici
Ecco un altro sogno…La Bibbia, nei due Testamenti, è piena di uomini e donne che sognano.I sogni, nel linguaggio biblico, sono momenti ed esperienze in cui si viene raggiunti da un messaggio.
Quando nel sogno compare la figura angelica, ciò sta ad indicare che si tratta di un messaggio che viene da Dio. Noi siamo poco abituati a questi linguaggi poetici, ma in grandi capolavori letterari dell’antichità sono popolati da sognatori e sognatrici.
Nel clima di sbigottimento e di incertezza in cui, secondo questo passo del Vangelo di Matteo, si muove Giuseppe, il sogno enuncia e annuncia una speranza: Dio non ci lascia mai senza qualche segno, qualche messaggio, qualche stimolo, qualche invito.
Spesso i segnali che Dio ci fa giungere non ci arrivano attraverso canali straordinari. Il “linguaggio” di Dio spesso è fatto di “cose”, di fatti e di incontri assai comuni. Chi va in cerca di segni miracolosi forse si mette sulla strada sbagliata.
Nei solchi del quotidiano
Nella mia vita non ho avuto nessuna visione, nessun angelo mi ha parlato e nessuna stella mi ha guidato. Ho forse potuto cogliere qualche traccia, qualche segnale della volontà di Dio nella assidua e rigorosa lettura della Bibbia e ancora di più nel dialogo con le persone più appiedate, più emarginate.
E’ stato l’ascolto delle persone, il tentativo di condividere gioie, lotte e speranze, la ricerca di uno stile di vita sobrio, il luogo, lo spazio umano in cui ho trovato i segni di Dio.
Vorrei tutta la vita rimanere attento, in ascolto dei “segnali” per collocare la mia esistenza dalla parte delle donne oppresse, dei teologi sconfessati, dei separati e divorziati privati dei sacramenti, dei gay e delle lesbiche, di chi lotta per avere il diritto ad una terra, ad un lavoro, ad una casa.
Per me nel 1963, giovanissimo prete, sono stati i primi venti ragazzi omosessuali che ho incontrato nel ministero ad aprirmi gli occhi. Sapevo a malapena che esistessero gli omosessuali e le lesbiche.
Ero anch’io stato formato e forgiato da una cultura del pregiudizio, dell’esclusione, della pelosa compassione. Fu un ascolto lungo, perplesso, difficile e umile che toccò il mio cuore e guarì il mio sguardo.
Ringrazio Dio per quegli incontri dai quali nacquero in larga misura le mie “disgrazie istituzionali” e i miei primi tentativi di uscire dalle prigioni dogmatiche. Da quel tempo, grato a Dio e non meno a quei ragazzi che perdonarono la mia ignoranza e la mia lentezza nel capire, decisi che avrei cercato di fare qualcosa contro il pregiudizio della mia chiesa gerarchica e qualcosa in compagnia di tanti fratelli e sorelle offesi nella loro dignità.
Ho raccontato questo mio personale itinerario non perché esso sia particolarmente significato o esemplare, ma perché in esso ho visto che è l’ascolto reciproco e quotidiano che cambia in profondità la nostra vita. Il sogno, in questo stupendo racconto biblico, ha sconvolto la vita di Giuseppe che è stato così invitato a guardare con fiducia oltre i suoi schemi mentali.
“Alzati”, “alzatosi”, “alzati”, “alzatosi”
Se leggete attentamente il testo, vi accorgete che per ben quattro volte ricorre il verbo alzarsi, levarsi. Due volte è all’imperativo e due volte indica l’azione con cui Giuseppe si mette in viaggio.
Qui Giuseppe, il giovane sposo di Maria e papà di Gesù, sa accogliere il messaggio con disponibilità e agisce con decisione. Si muove, vince gli indugi, affronta le sue responsabilità.
Che cosa può voler dire per noi? Forse il significato non è così criptico, difficile, segreto. Se da Dio, attraverso i fratelli e le sorelle o attraverso i fatti quotidiani e le nostre vicende personali, ci arriva l’invito a metterci in viaggio, a prendere le responsabilità per un mondo più giusto, allora “alziamoci”, cioè non giriamo la testa da un’altra parte.
E non diciamoci che oggi manchino segni, voci, inviti che sollecitino la nostra piccola azione quotidiana. Forse il punto decisivo per ciascuno di noi sta nell’accoglierli e nel “levarsi”, nell’assumere la gioia e la fatica del viaggio.
O Dio di Gesù,
aiutami a vedere i segni
che mi invitano ad alzarmi dai miei torpori
e aiutami a non abbandonare
il Tuo sogno di un mondo altro,
dove il pane, la casa, il lavoro, l’acqua,
l’amore siano più importanti del mercato,
dove condividere sia più bello che accumulare.
Questo “alzati” sia una indicazione per il 2008 che stiamo per iniziare.
Un anno da vivere “in piedi”,
non rinchiusi nelle nostre nicchie o ripiegati su noi stessi a leccarci le ferite.
Un anno da vivere attenti ai segni del Cielo
che in genere ci vengono dalla terra.
Un anno, mio Dio, tutto da vivere
senza “adorare” le abitudini e i luoghi comuni,
senza perdere la fiducia in Te e nelle persone con cui camminiamo.
Quando venne il tempo della loro purificazione secondo la Legge di Mosè, portarono il bambino a Gerusalemme per offrirlo al Signore, come è scritto nella Legge del Signore: ogni maschio primogenito sarà sacro al Signore; e per offrire in sacrificio una coppia di tortore o di giovani colombi, come prescrive la Legge del Signore. Ora a Gerusalemme c'era un uomo di nome Simeone, uomo giusto e timorato di Dio, che aspettava il conforto d'Israele; lo Spirito Santo che era sopra di lui, gli aveva preannunziato che non avrebbe visto la morte senza prima aver veduto il Messia del Signore. Mosso dunque dallo Spirito, si recò al tempio; e mentre i genitori vi portavano il bambino Gesù per adempiere la Legge, lo prese tra le braccia e benedisse Dio: «Ora lascia, o Signore, che il tuo servo vada in pace secondo la tua parola; perché i miei occhi han visto la tua salvezza, preparata da te davanti a tutti i popoli, luce per illuminare le genti e gloria del tuo popolo Israele». Il padre e la madre di Gesù si stupivano delle cose che si dicevano di lui. Simeone li benedisse e parlò a Maria, sua madre: «Egli è qui per la rovina e la risurrezione di molti in Israele, segno di contraddizione perché siano svelati i pensieri di molti cuori. E anche a te una spada trafiggerà l'anima». C'era anche una profetessa, Anna, figlia di Fanuèle, della tribù di Aser. Era molto avanzata in età, aveva vissuto col marito sette anni dal tempo in cui era ragazza, era poi rimasta vedova e ora aveva ottantaquattro anni. Non si allontanava mai dal tempio, servendo Dio notte e giorno con digiuni e preghiere. Sopraggiunta in quel momento, si mise anche lei a lodare Dio e parlava del bambino a quanti aspettavano la redenzione di Gerusalemme. Quando ebbero tutto compiuto secondo la legge del Signore, fecero ritorno in Galilea, alla loro città di Nazaret. Il bambino cresceva e si fortificava, pieno di sapienza, e la grazia di Dio era sopra di lui (Luca 2, 22-40).
Siamo di fronte ad un racconto leggendario costruito da Luca con precisi intenti teologici: per l'evangelista (che scrive almeno 80 anni dopo la nascita di Gesù e circa 50 dopo la sua morte) si tratta di "dimostrare" che Gesù era l'atteso di Israele, quello di cui i profeti avevano preannunciato la venuta.
In realtà Luca parla alla sua comunità in cui la tensione si era un po' affievolita e vuole riproporre questo spirito di "attesa" alla sua generazione di credenti.
Anna (= misericordia) e Simeone (=Dio ha ascoltato) diventano per Luca dei cristiani esemplari. Egli con il consueto processo di retroproiezione colloca già all'inizio della vita di Gesù, quel "riconoscimento" che avvenne solo molto più tardi.
Può darsi che Maria e Giuseppe, in ossequio alla legge del tempo, abbiano portato al tempio di Gerusalemme Gesù. In realtà non tutti erano rigorosamente tenuti a questo adempimento.
La presentazione al tempio, in ogni caso, è qui più un "episodio" simbolico che non un dato storico. Il racconto, inoltre, congiunge la "purificazione" di Maria a quella del bambino che non era contemplata da nessuna legge. Il libro del Levitico stabiliva per la donna dopo il parto uno stato di impurità della durata di quaranta giorni durante i quali erano limitati i suoi contatti comunitari e preclusa la sua partecipazione alle funzioni religiose.
L'evangelista qui, facendo un po' di confusione su rituali ebraici che non conosce bene, parla della "loro purificazione" coinvolgendo anche Giuseppe, ma la legge (scritta da uomini) non contempla nessuna impurità maschile.
Ovviamente Gesù, se fu portato al tempio, passò del tutto inosservato e nessuno si accorse dell'arrivo di questa famigliola di gente semplice. I poveri, quando nascono e quando muoiono, non hanno attorno alla culla o alla cassa da morto tanta ressa.
L'intento di Luca è teologico: ecco è arrivato il messia, luce per le nazioni e gloria per Israele e i giusti lo riconoscono. Le attese sono realizzate.
Lo si riconosce lentamente
La realtà del nostro incontro con Gesù, della "scoperta" del suo messaggio radicale e sovversivo, l'accoglienza reale del suo invito a "cambiare vita" avviene molto lentamente in ciascuno di noi.
Ma le figure di Simeone e Anna, anche se "creazioni" dell'evangelista Luca, sono davvero molto significative. Esse rappresentano l'apertura del cuore al dono di Dio, lo sguardo rivolto al futuro, due esistenze piene di fiducia.
In questo Simeone ed Anna parlano ai nostri cuori e la loro testimonianza risulta davvero efficace; solo chi si radica nella fiducia in Dio, solo chi si affida alle "promesse" della Parola di Dio sa vedere cieli e sentieri di salvezza nel presente e nel futuro.
La loro vita ha saputo attendere, guardare lontano, dice Luca alla sua comunità che qualche volta perde i colpi e si scoraggia quando non si vedono i frutti dell'impegno profuso.
E' un messaggio che va diritto al nostro cuore, alla nostra esistenza quotidiana. Simeone ed Anna sono persone vibranti di passione, di amore; sono l'opposto del credente abitudinario, stretto tra routine e progressivo raffreddamento.
Direi che oggi questo mantenere il nostro cuore caldamente e saldamente ancorato al sogno di Dio è la sfida centrale per ciascuno/a di noi proprio mentre le vecchie logiche del potere si impongono nel mondo e nella chiesa.
E' inevitabile che, sulla strada di Gesù, qualche "spada trapassi la nostra anima", come annuncia Simeone a Maria. Non certo perchè a noi piaccia cacciarci nelle sofferenze o cercarci dei guai, ma perchè il sentiero di Gesù trova opposizioni e crea scompiglio e inquietudine sia in chi lo contrasta che in chi cerca di percorrerlo.
Anche lui cresceva
E' bello pensare al nostro "fratello Gesù", come scrivono tanti studiosi ebrei, che ha percorso l'ineludibile sentiero della crescita. Anche Gesù, come ognuno/a di noi (pur avendo ricevuto da Dio una missione che scoprirà molto lentamente...) ha dovuto ascoltare ed imparare il messaggio delle Scritture, cercare la volontà di Dio, scegliere tra amore ed egoismo, affrontare le incertezze, affrontare le difficoltà.
Questo fatto conferisce fiducia alla nostra vita quotidiana. Più che interrogarci e torturarci sui risultati e sui traguardi raggiunti, è stimolante percorrere sentieri di crescita, in cammino come Gesù, sapendo che l'amore di Dio è su di noi, ci accompagna. Crescere vuol dire cambiare, aprirci, credere nella vita, affidarci a quel Dio che ci accompagna.
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Essi erano appena partiti, quando un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe e gli disse: “Alzati, prendi con te il bambino e sua madre e fuggi in Egitto, e resta là finchè non ti avvertirò, perché Erode sta cercando il bambino per ucciderlo”. Giuseppe, destatosi, prese con sé il bambino e sua madre e nella notte fuggì in Egitto, dove rimase fino alla morte di Erode, perché si adempisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: dall’Egitto ho chiamato il mio figlio. [...] Morto Erode, un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe in Egitto e gli disse:”Alzati, prendi con te il bambino e sua madre e va’ nel paese di Israele; perché sono morti coloro che insidiavano la vita del bambino”. Egli, alzatosi, prese con sé il bambino e sua madre, ed entrò nel paese di Israele. Avendo però saputo che era re della Giudea Archelào al posto di suo padre Erode, ebbe paura di andarvi. Avvertito poi in sogno, si ritirò nelle regioni della Galilea e, appena giunto, andò ad abitare in una città chiamata Nàzareth, perché si adempisse ciò che era stato detto dai profeti: “Sarà chiamato Nazareno” (Matteo 2, 13-15.19-23).
Sognatori e sognatrici
Ecco un altro sogno…La Bibbia, nei due Testamenti, è piena di uomini e donne che sognano.I sogni, nel linguaggio biblico, sono momenti ed esperienze in cui si viene raggiunti da un messaggio.
Quando nel sogno compare la figura angelica, ciò sta ad indicare che si tratta di un messaggio che viene da Dio. Noi siamo poco abituati a questi linguaggi poetici, ma in grandi capolavori letterari dell’antichità sono popolati da sognatori e sognatrici.
Nel clima di sbigottimento e di incertezza in cui, secondo questo passo del Vangelo di Matteo, si muove Giuseppe, il sogno enuncia e annuncia una speranza: Dio non ci lascia mai senza qualche segno, qualche messaggio, qualche stimolo, qualche invito.
Spesso i segnali che Dio ci fa giungere non ci arrivano attraverso canali straordinari. Il “linguaggio” di Dio spesso è fatto di “cose”, di fatti e di incontri assai comuni. Chi va in cerca di segni miracolosi forse si mette sulla strada sbagliata.
Nei solchi del quotidiano
Nella mia vita non ho avuto nessuna visione, nessun angelo mi ha parlato e nessuna stella mi ha guidato. Ho forse potuto cogliere qualche traccia, qualche segnale della volontà di Dio nella assidua e rigorosa lettura della Bibbia e ancora di più nel dialogo con le persone più appiedate, più emarginate.
E’ stato l’ascolto delle persone, il tentativo di condividere gioie, lotte e speranze, la ricerca di uno stile di vita sobrio, il luogo, lo spazio umano in cui ho trovato i segni di Dio.
Vorrei tutta la vita rimanere attento, in ascolto dei “segnali” per collocare la mia esistenza dalla parte delle donne oppresse, dei teologi sconfessati, dei separati e divorziati privati dei sacramenti, dei gay e delle lesbiche, di chi lotta per avere il diritto ad una terra, ad un lavoro, ad una casa.
Per me nel 1963, giovanissimo prete, sono stati i primi venti ragazzi omosessuali che ho incontrato nel ministero ad aprirmi gli occhi. Sapevo a malapena che esistessero gli omosessuali e le lesbiche.
Ero anch’io stato formato e forgiato da una cultura del pregiudizio, dell’esclusione, della pelosa compassione. Fu un ascolto lungo, perplesso, difficile e umile che toccò il mio cuore e guarì il mio sguardo.
Ringrazio Dio per quegli incontri dai quali nacquero in larga misura le mie “disgrazie istituzionali” e i miei primi tentativi di uscire dalle prigioni dogmatiche. Da quel tempo, grato a Dio e non meno a quei ragazzi che perdonarono la mia ignoranza e la mia lentezza nel capire, decisi che avrei cercato di fare qualcosa contro il pregiudizio della mia chiesa gerarchica e qualcosa in compagnia di tanti fratelli e sorelle offesi nella loro dignità.
Ho raccontato questo mio personale itinerario non perché esso sia particolarmente significato o esemplare, ma perché in esso ho visto che è l’ascolto reciproco e quotidiano che cambia in profondità la nostra vita. Il sogno, in questo stupendo racconto biblico, ha sconvolto la vita di Giuseppe che è stato così invitato a guardare con fiducia oltre i suoi schemi mentali.
“Alzati”, “alzatosi”, “alzati”, “alzatosi”
Se leggete attentamente il testo, vi accorgete che per ben quattro volte ricorre il verbo alzarsi, levarsi. Due volte è all’imperativo e due volte indica l’azione con cui Giuseppe si mette in viaggio.
Qui Giuseppe, il giovane sposo di Maria e papà di Gesù, sa accogliere il messaggio con disponibilità e agisce con decisione. Si muove, vince gli indugi, affronta le sue responsabilità.
Che cosa può voler dire per noi? Forse il significato non è così criptico, difficile, segreto. Se da Dio, attraverso i fratelli e le sorelle o attraverso i fatti quotidiani e le nostre vicende personali, ci arriva l’invito a metterci in viaggio, a prendere le responsabilità per un mondo più giusto, allora “alziamoci”, cioè non giriamo la testa da un’altra parte.
E non diciamoci che oggi manchino segni, voci, inviti che sollecitino la nostra piccola azione quotidiana. Forse il punto decisivo per ciascuno di noi sta nell’accoglierli e nel “levarsi”, nell’assumere la gioia e la fatica del viaggio.
O Dio di Gesù,
aiutami a vedere i segni
che mi invitano ad alzarmi dai miei torpori
e aiutami a non abbandonare
il Tuo sogno di un mondo altro,
dove il pane, la casa, il lavoro, l’acqua,
l’amore siano più importanti del mercato,
dove condividere sia più bello che accumulare.
Questo “alzati” sia una indicazione per il 2008 che stiamo per iniziare.
Un anno da vivere “in piedi”,
non rinchiusi nelle nostre nicchie o ripiegati su noi stessi a leccarci le ferite.
Un anno da vivere attenti ai segni del Cielo
che in genere ci vengono dalla terra.
Un anno, mio Dio, tutto da vivere
senza “adorare” le abitudini e i luoghi comuni,
senza perdere la fiducia in Te e nelle persone con cui camminiamo.
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