Ci sono, in verità, tantissime realtà e situazioni in cui siamo giunti a livelli di degrado e di violenza che fino a pochi anni fa credevamo impossibili. Alludo specialmente alle violenze contro le donne e gli omosessuali.
Tutto questo richiede una mobilitazione delle nostre coscienze e anche interventi adeguati della magistratura. Noi maschi, in particolare, non possiamo evitare di guardarci dentro, di “convertire” i nostri atteggiamenti e comportamenti aggressivi e di combattere la cultura patriarcale che sta alla radice di queste violenze.
Ma io in questi giorni ho molto riflettuto sulla vicenda della bimba bielorussa e sui militari uccisi in Afganistan.
A mio avviso, non se ne può più del buonismo che ha unito i coniugi Giusto, il parroco, le suore, quasi un intero paese... Prendersi cura di una persona non significa possederla, crederci gli unici “salvatori”, gli unici capaci di provvedere al suo bene.
Nessuno nega il valore dell’accoglienza, ma ci sono modi legali ed efficaci meno spettacolari di difendere la vita e di provvedere ad un futuro diverso di una minore che ha subito violenza. I giudici e molte associazioni lo hanno capito.
Il buonismo strappalacrime è sovente un inconsapevole stratagemma per sentirci tanto buoni, ma ha il fiato corto e costituisce una semplificazione, una scorciatoia, anche se si agisce con le migliori intenzioni.
Ma in questi giorni, a mio avviso, è parsa ideologica e deviante la retorica patriottica e militarista che si è ripetuta alla morte dei due militari uccisi in Afghanistan. Il dolore dei parenti e la morte di questi due giovani sono realtà che toccano ciascuno di noi in profondità ed esigono rispetto, anzi molto più del rispetto.
Si sa, i vescovi in questi momenti diventano “attori nazionali” e la liturgia viene curata e trasformata in uno spettacolo insieme sacro, patriottico e militaresco. I tre aggettivi quasi si identificano, si intrecciano, si sovrappongono, si compenetrano.
Le messe militari e patriottiche, dove si gioca sulle emozioni di amici e parenti, dove le parole perdono ogni riferimento alla cruda realtà di una guerra di invasione per esaltare una inesistente missione di pace, sono vere e proprie bestemmie.
Di questo patriottismo militare e di questo militarismo patriottico non e ne può più.
E’ tempo di ripensare quale distanza esista tra l’amore e il buonismo e quale manipolazione si nasconda dietro queste liturgie strappalacrime laiche e religiose.
La “missione” in Afghanistan esige un ripensamento. Nata male, è proseguita peggio e l’ombrello dell’ONU non è qualcosa di eterno o infallibile. Le armi hanno dimostrato di essere una via che fa crescere la violenza. Ci vuole il coraggio di riesaminare e cambiare.
Tutto questo richiede una mobilitazione delle nostre coscienze e anche interventi adeguati della magistratura. Noi maschi, in particolare, non possiamo evitare di guardarci dentro, di “convertire” i nostri atteggiamenti e comportamenti aggressivi e di combattere la cultura patriarcale che sta alla radice di queste violenze.
Ma io in questi giorni ho molto riflettuto sulla vicenda della bimba bielorussa e sui militari uccisi in Afganistan.
A mio avviso, non se ne può più del buonismo che ha unito i coniugi Giusto, il parroco, le suore, quasi un intero paese... Prendersi cura di una persona non significa possederla, crederci gli unici “salvatori”, gli unici capaci di provvedere al suo bene.
Nessuno nega il valore dell’accoglienza, ma ci sono modi legali ed efficaci meno spettacolari di difendere la vita e di provvedere ad un futuro diverso di una minore che ha subito violenza. I giudici e molte associazioni lo hanno capito.
Il buonismo strappalacrime è sovente un inconsapevole stratagemma per sentirci tanto buoni, ma ha il fiato corto e costituisce una semplificazione, una scorciatoia, anche se si agisce con le migliori intenzioni.
Ma in questi giorni, a mio avviso, è parsa ideologica e deviante la retorica patriottica e militarista che si è ripetuta alla morte dei due militari uccisi in Afghanistan. Il dolore dei parenti e la morte di questi due giovani sono realtà che toccano ciascuno di noi in profondità ed esigono rispetto, anzi molto più del rispetto.
Si sa, i vescovi in questi momenti diventano “attori nazionali” e la liturgia viene curata e trasformata in uno spettacolo insieme sacro, patriottico e militaresco. I tre aggettivi quasi si identificano, si intrecciano, si sovrappongono, si compenetrano.
Le messe militari e patriottiche, dove si gioca sulle emozioni di amici e parenti, dove le parole perdono ogni riferimento alla cruda realtà di una guerra di invasione per esaltare una inesistente missione di pace, sono vere e proprie bestemmie.
Di questo patriottismo militare e di questo militarismo patriottico non e ne può più.
E’ tempo di ripensare quale distanza esista tra l’amore e il buonismo e quale manipolazione si nasconda dietro queste liturgie strappalacrime laiche e religiose.
La “missione” in Afghanistan esige un ripensamento. Nata male, è proseguita peggio e l’ombrello dell’ONU non è qualcosa di eterno o infallibile. Le armi hanno dimostrato di essere una via che fa crescere la violenza. Ci vuole il coraggio di riesaminare e cambiare.
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