In questi anni ho molto riflettuto sulle modalità e sui contenuti dell’informazione. I motivi per questa riflessione sono, ovviamente, uno più di mille, ma io ho dovuto farlo anche partendo da una vicenda personale.
Di tanto in tanto mi telefona qualche giornalista per una intervista. A parte qualche lodevole eccezione, mi sento rivolgere la domanda: “Quanti matrimoni omosessuali ha già celebrato?”.
Cerco sempre di spiegare, con pazienza e con chiarezza, che nella mia vita non benedico nozze gay da mattina a sera, ma per l’intervistatore questa mia precisazione è quasi sempre inutile o irrilevante. Egli non ha interesse o non riesce a collocare questa mia scelta in un contesto più vasto e più meditato.
Se dico che vivo dentro l’esperienza della chiesa di base, che mi occupo di teologie della liberazione, che ho scritto alcuni studi sulla figura di Gesù, che mi occupo di volontariato, che lavoro come animatore di gruppi biblici... tutto questo non interessa il mio interlocutore.
Lui vuole ad ogni costo scrivere quattro righe che facciano scoop. Io che cerco ostinatamente di avviare una riflessione, che mi prefiggo di evitare lo scoop, che amo ragionare evitando gli slogan e le semplificazioni, il più delle volte mi vedo costretto a rifiutare queste semplificazioni oppure a leggere un articolo che banalizza tutto.
Credo che una delle rivoluzioni più urgenti consista proprio nella qualità dell’informazione. Passare dal gioco delle parole alla capacità di “educare al pensiero” è un impresa oggi tanto difficile e contro corrente quanto necessaria.
Certamente continuerò a celebrare l’eucarestia di tante belle nozze omosessuali, ma... la mia vita colloca questa scelta in un camino comunitario in cui, come cittadini/e e credenti, siamo impegnati perché crescano nella società e nella chiesa la pratica della giustizia, l’espansione dei diritti, la responsabilità verso il creato. Ogni tessera ha il suo significato se inserita nel mosaico.
Di tanto in tanto mi telefona qualche giornalista per una intervista. A parte qualche lodevole eccezione, mi sento rivolgere la domanda: “Quanti matrimoni omosessuali ha già celebrato?”.
Cerco sempre di spiegare, con pazienza e con chiarezza, che nella mia vita non benedico nozze gay da mattina a sera, ma per l’intervistatore questa mia precisazione è quasi sempre inutile o irrilevante. Egli non ha interesse o non riesce a collocare questa mia scelta in un contesto più vasto e più meditato.
Se dico che vivo dentro l’esperienza della chiesa di base, che mi occupo di teologie della liberazione, che ho scritto alcuni studi sulla figura di Gesù, che mi occupo di volontariato, che lavoro come animatore di gruppi biblici... tutto questo non interessa il mio interlocutore.
Lui vuole ad ogni costo scrivere quattro righe che facciano scoop. Io che cerco ostinatamente di avviare una riflessione, che mi prefiggo di evitare lo scoop, che amo ragionare evitando gli slogan e le semplificazioni, il più delle volte mi vedo costretto a rifiutare queste semplificazioni oppure a leggere un articolo che banalizza tutto.
Credo che una delle rivoluzioni più urgenti consista proprio nella qualità dell’informazione. Passare dal gioco delle parole alla capacità di “educare al pensiero” è un impresa oggi tanto difficile e contro corrente quanto necessaria.
Certamente continuerò a celebrare l’eucarestia di tante belle nozze omosessuali, ma... la mia vita colloca questa scelta in un camino comunitario in cui, come cittadini/e e credenti, siamo impegnati perché crescano nella società e nella chiesa la pratica della giustizia, l’espansione dei diritti, la responsabilità verso il creato. Ogni tessera ha il suo significato se inserita nel mosaico.
Nessun commento:
Posta un commento