lunedì 30 luglio 2007

CATTOLICESIMO CINESE

I grandi capi del cattolicesimo cinese patriottico, quello filogovernativo, che ruppe con il vaticano fin dal 1951, rilasciano dichiarazioni molto concilianti.

Nulla che ci faccia pensare ad un cattolicesimo progressista, teologicamente vivo, esegeticamente attrezzato. Vogliono ancora oggi respingere l’ingerenza e la colonizzazione vaticana, ma per il resto sono i cattolici più papalini del mondo, assolutamente ligi, dogmatici, disciplinati.

Le dichiarazioni rilasciate a Repubblica il 23 luglio scorso da Liu Bainain, il più influente membro della chiesa patriottica, sono inequivocabili:

“Io spero con tutte le mie forze di poter vedere un giorno il Papa qui a Pechino, a celebrare la messa per noi cinesi. I cattolici italiani non possono immaginare quanto desiderio abbiamo di vederlo.

Attraverso "Repubblica" vorrei rivolgere al Santo Padre un saluto speciale: sappia che preghiamo sempre per lui e perché il Signore ci dia la grazia di accoglierlo tra noi.

Noi tutti abbiamo grande rispetto per la figura di Giovanni Paolo II: è stato il primo pontefice ad ammettere i peccati di cui si era resa colpevole in passato la Chiesa missionaria in Cina”.

Liu continua a evocare la rottura del 1951, per lui è essenziale tornare alle origini del divorzio.

“Quello che forse non è chiaro a tutti gli italiani, è che noi seguiamo esattamente la stessa religione della Chiesa di Roma, siamo indipendenti dal punto di vista politico e per il reperimento delle nostre risorse economiche.

Quando la stampa occidentale ricorda che nel 1951 la Cina ha rotto le relazioni col Vaticano, dimentica di aggiungere questo aspetto essenziale: noi abbiamo sempre continuato a dire che riconosciamo l’autorità unica del papa in materia di religione. Non c’è l’ombra di una controversia teologica, non abbiamo nulla in comune con i protestanti”.

Liu tira fuori da una cartella un vecchio discorso: il suo primo intervento alla fondazione dell’Associazione patriottica, esattamente cinquant’anni fa. Vuole che “gli italiani oggi possano conoscerlo”, legge una citazione di quel testo del 1957.

“La Santa Sede è l’unica rappresentante di Gesù in terra e come cattolici dobbiamo seguirla. Ciò che noi dobbiamo affermare è la nostra indipendenza politica ed economica, altrimenti resteremo una chiesa coloniale”.

Liu protegge se stesso, vuole difendersi dall’accusa di essere stato il leader dei “traditori” che hanno chinato la testa davanti al regime comunista.

“Al contrario, abbiamo salvato il futuro del cattolicesimo in Cina, abbiamo cambiato la percezione che c’era dei missionari come alfieri dell’imperialismo, abbiamo dimostrato che i cattolici cinesi sono anche dei patrioti”.

“Abbiamo aperto seminari dove invitiamo come insegnati sacerdoti italiani, spagnoli, irlandesi. Quando qualche sacerdote ha avuto la tentazione di sposarsi, lo abbiamo espulso: come vede non ci siamo mai discostati dalla linea della Santa Sede. Però applichiamo il detto di Gesù: date a Cesare quel che è di Cesare, a Dio quel che è di Dio”.

L’intervista raccolta da Federico Rampini fornisce un quadro da cui emergono alcuni elementi davvero significativi.

1) I cattolici cinesi sono in crescita: dai quindici ai venti milioni. Almeno 10 milioni sono quelli “clandestini”, cioè non patriottici.

2) Emerge che, in ogni caso, si tratta di un cattolicesimo ultra-tradizionalista sul piano dogmatico che non fa alcun problema per il vaticano. Si andrà verso una normalizzazione dei rapporti tra stato cinese e vaticano.

3) E’ un luogo comune, sia pure accreditato da grandi studiosi, che l’Asia sia impenetrabile al cristianesimo. Il prossimo ventennio sarà la più severa smentita, come già avviene in India.

4) Dove c’è tradizionalismo, conservatorismo, dogmatismo il cattolicesimo militante di oggi penetra facilmente e si pone come collante della destra planetaria. In Cina dovrà avere un occhio di riguardo per il regime che non tollera ingerenze, ma il “genio cattolico” troverà le sue strade per un avvenire di proselitismo.

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