martedì 31 luglio 2007

COME GUASTARSI UNA SERA…

Martedì 24 luglio, trovandomi a Pietra Ligure per alcuni giorni di riposo, sono stato avvertito da un cartellone affisso sulla porta della parrocchia che la sera si sarebbe svolta una “serata di catechesi sul sacramento del perdono”, introdotta da una relazione del parroco.

Io, che per mia natura dialogherei anche con il diavolo, se esistesse, sono corso all’appuntamento, desideroso di vivere - come faccio sempre quando mi trovo fuori dalla mia comunità – un’esperienza di confronto.

Ho contato una ventina di persone di età non proprio giovanile. L’argomento sia sul terreno biblico, storico, pastorale ha occupato grande rilievo nei miei studi di esegesi e di sacramentaria.

Non riesco a dirvi il dolore e la sconvolgimento che ho provato fin dall’inizio della relazione del confratello, certamente ben intenzionato, ma assolutamente impreparato.

Il centro di tutta la sua riflessione traduceva una idea ossessiva: nessuno ardisca pensare che sia possibile ottenere il perdono direttamente da Dio.

Solo i sacerdoti hanno questo potere perché lo hanno ricevuto come prerogativa esclusiva da Cristo. A loro vanno confessati tutti i peccati…

Per almeno dieci volte ha ribadito che la chiesa (per lui significava la gerarchia, i sacerdoti) ha questo potere conferito da Cristo. E, con una totale e incredibile inconsapevolezza dei problemi connessi all’interpretazione di un testo biblico, si è messo a citare versetti biblici di tutti i quattro vangeli.

Una vera e propria “cascata di versetti”, citati alla rinfusa, senza la minima nozione esegetica, contestuale, ermeneutica. Ero allibito…

Per lui, ignaro della storia della formazione dei sacramenti, della “penitenza antica” e di ogni disputa teologica che ha attraversato i secoli, tutto era chiaro: Gesù avrebbe fondato la chiesa e avrebbe voluto una gerarchia con dei precisi poteri… Nessun dubbio, nessuna ombra, tutto certo e chiaro…

Per mia fortuna, una solida sedia mi sorreggeva. C’era da stramazzare a terra, travolto da una simile valanga di ignoranza, di falsificazioni storiche, di manipolazioni…

Intervenire? Ma da che parte partire? Era tutto l’impianto da rimettere in discussione. Del resto, dopo due chiacchiere assolutamente fuori tema con alcuni presenti, il parroco ha chiuso la serata.

Sono tornato a casa. A letto stentavo a prendere sonno. Sono sicuro della buona fede di quel mio confratello, ma come si può oggi svolgere un ministero privo, totalmente privo, di alcune conoscenze linguistiche, storiche, esegetiche, ermeneutiche?

Come si possono ingannare così gravemente dei fratelli e delle sorelle che meriterebbero un servizio qualificato? Può il prete non studiare e limitarsi a ripetere il catechismo della sua prima comunione? Ho gettato il mio dolore, profondo fino alle lacrime, davanti a Dio.

La mia indignazione non è contro quell’uomo privo di strumenti culturali, ma contro una istituzione ecclesiastica che favorisce questa incultura: i preti hanno il potere e così si sentono dispensati dal sapere. I laici, imbevuti di clericalismo, a loro volta bevono tutto come oro colato.

Chi non ti educa alla ricerca, può garantirsi la tua obbedienza: questo è criminale. Per me, uomo e prete attraversato da mille limiti di ogni genere, il ministero è passione, preghiera, studio, ricerca, coinvolgimento.

Non si tratta di trasmettere delle “pillole dogmatiche”, del resto assai contaminate, ma di educare noi e le persone con cui facciamo comunità ad una ricerca rigorosa e appassionante.

Dunque, anche questa serata, a modo suo, mi ha fornito “materiale” per accrescere il mio zelo e per riflettere, ancora una volta, sull’importanza del continuo rinnovamento della propria cultura biblica e teologica.

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