martedì 24 luglio 2007

NUCLEARE

Dal Giappone all’Ucraina siamo sempre alle prese con il problema della sicurezza. Che si tratti di contaminazione radioattiva o di fosforo giallo, è sempre la vita di molte persone che è messa in pericolo.

“Gli impianti nucleari hanno continuamente piccoli incidenti che di solito riguardano i sistemi di raffreddamento. Del resto, la sicurezza al cento per cento non esiste. Quello che è importante è che ci siano sistemi di sicurezza in profondità.

La Convenzione sulla sicurezza nucleare del 1994 stabilisce che in tutte le fasi di lavoro dell’impianto, dalla pianificazione alle regole di gestione, la priorità sia sempre la sicurezza. I sistemi di sicurezza in profondità, in particolare, prevedono che tutti gli impianti nucleari abbiano contenitori a pressione tali per cui il materiale radioattivo rimanga sempre dentro al reattore.

Non tutte le strutture però sono protette in questo modo, ad esempio non lo sono le piscine di raffreddamento, mentre lo è sempre il nucleo. Questo sistema, però, evita che nel caso di un disastro grave ci siano emissioni di radioattività nell’ambiente. I nuovi reattori di terza generazione sono fatti in modo che non possa succedere quello che successe a Chernobyl.

Ad esempio, anche durante lo tsunami del 2004, gli impianti nucleari hanno resistito bene e non c’è stata emissione di radiazioni. C’è da dire però che anche alcuni reattori di vecchia generazione erano più sicuri di quello di Chernobyl. A Three Mile Island, ad esempio, ci fu la fusione del nucleo, ma non ci fu emissione di radioattività come a Chernobyl, benché l’incidente sia avvenuto nel 1979, ovvero sette anni prima di quello accaduto in Ucraina”.

Questo è il parere di Alessando Pascolini, studioso del nucleare, comparso su “L’Unità” di mercoledì 18 luglio, mentre in Brasile succedeva la più grande sciagura area di questo paese.

Il problema sicurezza sta al centro delle nostre “convivenze”. Mettere la vita umana e la “salute del creato” al sicuro al primo posto non è evidentemente ciò che sta avvenendo.

Le chiese cristiane potrebbero farci un pensierino più attento anche nel dialogo con i potenti e le istituzioni laiche. L’amore delle creature comprende il prendersi cura, la ricerca di una vita più sicura, anche se la modernità e la complessità comportano una certa dose di ingovernabile e imprevedibile insicurezza.

Resta il fatto che la vita quotidiana conta un numero crescente di insicurezze davvero impressionare: il lavoro precario, la strada, le instabilità personali, lo scoppio di una fuoriuscita di gas, i fenomeni naturali…

Una “città sicura” è frutto di una cultura della “cura e dell’attenzione reciproca”. L’esatto opposto di quella cultura dell’individualismo esasperato che in Italia si chiama “berlusconismo”.

Una politica che educhi alla pratica della cura e dell’attenzione, non risolve tutto, ma può fare molto. Ciascuno/a di noi parta da se stesso/a.

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