Il vaticano è in agitazione.
E’ bastato che un giornalista serio come Curzio Maltese su Repubblica documentasse soldi, patrimoni e privilegi della chiesa cattolica in Italia per suscitare le ire del cardinale Bertone, segretario di stato vaticano.
Quale sarebbe la colpa grave di Curzio Maltese? Ha svelato su Repubblica di mercoledì 24 ottobre che in Italia ci sono 25.000 insegnanti di religione cattolica di cui 14.000 di ruolo: tutti insegnanti nominati dalle curie senza concorso, anche senza titoli per accedere ad uno specifico insegnamento.
Se ne può parlare? E’ “persecuzione della religione cattolica” documentare che questa ora di religione confessionale “vale un miliardo“ di euro? Si può ancora dire che in uno stato laico si accede alle cattedre per concorso e non per nomina vescovile?
Il direttore di Repubblica replica giovedì 25 ottobre in prima pagina al cardinale Bertone con una risposta che qui riporto integralmente e che condivido totalmente.
COMMENTO
DEMOCRAZIA E RELIGIONE
"Finiamola". Con questo invito che ricorda un ordine il Cardinal Segretario di Stato della Santa Sede, Tarcisio Bertone ha preso ieri pubblicamente posizione contro l'inchiesta di Repubblica sul costo della Chiesa per i contribuenti italiani, firmata da Curzio Maltese.
"Finiamola con questa storia dei finanziamenti alla Chiesa - ha detto testualmente il cardinal Bertone - : l'apertura alla fede in Dio porta solo frutti a favore della società". Per poi aggiungere: "C'è un quotidiano che ogni settimana deve tirare fuori iniziative di questo genere. L'ora di religione è sacrosanta".
Non ci intendiamo di santità, dunque non rispondiamo su questo punto. Ma non possiamo non notare come il tono usato da Sua Eminenza sia perentorio e inusuale in qualsiasi democrazia: più adatto a un Sillabo.
L'attacco vaticano riguarda un'inchiesta giornalistica che analizza i costi a carico dei cittadini italiani per la Chiesa cattolica, dalle esenzioni fiscali all'otto per mille, al finanziamento alle scuole private, all'ora di religione: altre puntate seguiranno, finché il piano di lavoro non sia compiuto.
Finiamola? E perché? Chi lo decide? In nome di quale potestà? Forse la Santa Sede ritiene di poter bloccare il libero lavoro di un giornale a suo piacimento? Pensa di poter decidere se un'inchiesta dev'essere pubblicata "ogni settimana" o con una diversa cadenza?
E' convinta che basti chiedere la chiusura anticipata di un'indagine giornalistica per evitare che si discuta di "questa storia"?
Infine, e soprattutto: non esiste più l'imprimatur, dunque persino in Italia, se un giornale crede di "tirar fuori iniziative di questo genere" può farlo. Salvo incorrere in errori che saremo ben lieti di correggere, se riceveremo richieste di rettifiche che non sono arrivate, perché nessun punto sostanziale del lavoro d'inchiesta è stato confutato.
La confutazione, a quanto pare, anche se è incredibile dirlo, riguarda la legittimità stessa di affrontare questi temi. Come se esistesse, lo abbiamo già detto, un'inedita servitù giornalistica dell'Italia verso la Santa Sede, non prevista per le altre istituzioni italiane e straniere, ma tipica soltanto di Paesi non democratici.
In più, Sua Eminenza è il Capo del governo di uno Stato straniero che chiede di "finirla" con il libero lavoro d'indagine (naturalmente opinabile, ma libero) di un giornale italiano. Dovrebbe sapere che in Occidente non usa. Mai.
Stupisce questa reazione quando si parla non dei fondamenti della fede, ma di soldi. E tuttavia se la Chiesa - com'è giusto - vuole far parte a pieno titolo del discorso pubblico in una società democratica e trasparente, non può poi sottrarsi in nome di qualche sacra riserva agli obblighi che quel discorso pubblico comporta: per tutti i soggetti, anche quelli votati al bene comune.
Anche questo è un aspetto della sfida perenne, e contemporanea, tra democrazia e religione.
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