Inutile fare i soliti spergiuri contro la febbre consumistica. Serve piuttosto qualche vitamina spirituale. Per esempio?
Dieci minuti ogni giorno per sostare in silenzio e preghiera, da solo/a o in compagnia.
E poi…qualche buon libro, anche tra quelli che consiglio qui da molti mesi; primo fra tutti: “Gesù di Nazareth” di Ortensio da Spinetoli, ed. La Meridiana.
FRANZ DUNZL, Breve storia del dogma trinitario nella chiesa antica, Queriniana, Brescia 2007, pagg. 184, € 16,00
Un giovane ed attrezzatissimo studioso di storia della chiesa cerca in queste pagine di farci passeggiare nei secoli che precedettero le formulazioni dogmatiche di Nicea (325) e di Costantinopoli (381) per illuminare il significato delle ricerche e delle vicende che portarono a quelle “dottrine”.
Va da sé che il teologo ufficiale che redige queste pagine alla fine sembra discretamente convinto della positività di tali formulazioni, ma la preziosità di queste pagine – che si leggono con vero piacere e con grande utilità – consiste, a mio avviso, nel farci vedere attraverso una rigorosa lettura storica come si arrivò a “inventare” questi dogmi.
Essi sono il frutto di incontri, scontri, mediazioni, soprusi, imposizioni, scomuniche, diktat imperiali…e, in ogni caso, sono frutti culturali, linguistici e teologici contingenti, datati, sempre da riformulare.
E’ un vero diletto intellettuale ripercorrere questi “sentieri” e, nello stesso tempo, questa storicità è una lezione feconda per la nostra fede che deve sempre dirsi e riformularsi nel tempo.
Ecco perché, a mio avviso, quelle formulazioni sono per noi oggi delle icone fredde, dei linguaggi morti, degli ostacoli alla “narratio fidei” perché la loro ripetizione fa ripensare alle mummie.
Congelare gli enunciati della nostra fede in formule fisse, immutabili e sacralizzate denota la pigrizia delle nostre chiese che hanno perso lo spirito della storicità innovativa che percorse i primi secoli.
L’Autore non è un biblista e quindi invano si cercherebbero in queste pagine riflessioni esegetiche, ma ripercorrere la evoluzione storica dà respiro alla nostra ricerca ed alla nostra fede. La bibliografia è piuttosto ridotta, ma ciò è imputabile alla brevità dell’opera.
Quando leggi un libro come questo avresti voglia di poterne parlare, di confrontarti, di discuterlo, ma è difficile trovare chi lo abbia letto. Che dolore!
Non si percepisce più l’importanza di questi linguaggi e si parla di trinità con categorie dogmatiche o con valenze sociologiche per fondare la “chiesa comunione” scambiando la metafora trinitaria, la simbolica trinitaria con l’ontologia trinitaria, che spesso è un vero e proprio triteismo.
Io resto fermo nella convinzione che il cristianesimo attuale, anche a causa dei dogmatismi più che dei dogmi, è diventato un “monoteismo apparente”, come ha scritto Mauro Pesce. Resto decisamente monoteista e accolgo alcune valenze positive della simbologia trinitaria.
La dogmatica non può costruirsi a parte un suo palazzo, fuori dall’esegesi. Occorre ritrovare il coraggio di interpellare e riaprire le “scatole dogmatiche” alla luce dei dati biblici e della svolta ermeneutica in atto a livello culturale.
Va da sé che il teologo ufficiale che redige queste pagine alla fine sembra discretamente convinto della positività di tali formulazioni, ma la preziosità di queste pagine – che si leggono con vero piacere e con grande utilità – consiste, a mio avviso, nel farci vedere attraverso una rigorosa lettura storica come si arrivò a “inventare” questi dogmi.
Essi sono il frutto di incontri, scontri, mediazioni, soprusi, imposizioni, scomuniche, diktat imperiali…e, in ogni caso, sono frutti culturali, linguistici e teologici contingenti, datati, sempre da riformulare.
E’ un vero diletto intellettuale ripercorrere questi “sentieri” e, nello stesso tempo, questa storicità è una lezione feconda per la nostra fede che deve sempre dirsi e riformularsi nel tempo.
Ecco perché, a mio avviso, quelle formulazioni sono per noi oggi delle icone fredde, dei linguaggi morti, degli ostacoli alla “narratio fidei” perché la loro ripetizione fa ripensare alle mummie.
Congelare gli enunciati della nostra fede in formule fisse, immutabili e sacralizzate denota la pigrizia delle nostre chiese che hanno perso lo spirito della storicità innovativa che percorse i primi secoli.
L’Autore non è un biblista e quindi invano si cercherebbero in queste pagine riflessioni esegetiche, ma ripercorrere la evoluzione storica dà respiro alla nostra ricerca ed alla nostra fede. La bibliografia è piuttosto ridotta, ma ciò è imputabile alla brevità dell’opera.
Quando leggi un libro come questo avresti voglia di poterne parlare, di confrontarti, di discuterlo, ma è difficile trovare chi lo abbia letto. Che dolore!
Non si percepisce più l’importanza di questi linguaggi e si parla di trinità con categorie dogmatiche o con valenze sociologiche per fondare la “chiesa comunione” scambiando la metafora trinitaria, la simbolica trinitaria con l’ontologia trinitaria, che spesso è un vero e proprio triteismo.
Io resto fermo nella convinzione che il cristianesimo attuale, anche a causa dei dogmatismi più che dei dogmi, è diventato un “monoteismo apparente”, come ha scritto Mauro Pesce. Resto decisamente monoteista e accolgo alcune valenze positive della simbologia trinitaria.
La dogmatica non può costruirsi a parte un suo palazzo, fuori dall’esegesi. Occorre ritrovare il coraggio di interpellare e riaprire le “scatole dogmatiche” alla luce dei dati biblici e della svolta ermeneutica in atto a livello culturale.
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