Mentre i preti operai sranno scomparendo, ospito nel mio blog questa memoria di don Sirio Politi, prete e profeta, che morì quasi 20 anni fa.
DON SIRIO POLITI
1920 -1988: UNA VITA FRA INTEGRAZIONE E CREATIVITÀ
di Maria Grazia Galimberti
Mi piace ricordare Don Sirio come un uomo che è vissuto sotto il segno dell'integrazione. Credo che sia stato il suo destino, il compito speciale al quale era chiamato. Una caratteristica che, probabilmente, segna la vita di molti di voi ed è perfettamente espressa nel nuovo lemma che si è dovuto creare per rendere dicibile il vostro status: pretioperai . Che è come dire spiritomateria.
La vita di Don Sirio è stata proprio all'insegna dell'incontro fra lo Spirito e la materia, avvenuto grazie al dono raro che aveva di integrare fra loro realtà frequentemente separate, se non in opposizione. Vedremo come lungo il dipanarsi della sua vita si siano integrati spirito e materia, solitudine e comunità, uomo e donna, persona e natura, amore e lotta, normalità e disabilità, sacerdozio e laicità, salute e malattia.
Nato nel 1920 in un paesino della Versilia da una famiglia molto modesta — il padre, illetterato, era un semplice manovale — Don Sirio inizia il seminario appena adolescente, a 14 anni. Scriverà più tardi che Dio era entrato nella sua vita e non aveva potuto sottrarsi alla Sua invasione, anche se per lunghi anni si combatte, fra i due, una strenua battaglia.
Fu ordinato sacerdote a Lucca, nel '43 — eravamo nell'ultimo, difficile periodo della guerra — e i primi due anni girovagò da un incarico all'altro. In seguito fu nominato parroco a Bargecchia, un paese collinare alle spalle di Viareggio. Prendeva il posto di un confratello, ucciso dai tedeschi.
Don Sirio era allora un prete come tanti, anche se forse più vivace di altri. Lì, nel decennio di esperienza parrocchiale che per lui corrispose alla fase dai 25 ai 35 anni — cruciale nella vita di un uomo — in Don Sirio si opera una lenta metamorfosi. Il sacerdote legato alla forma e alla tradizione, figlio del suo tempo, lascia lentamente posto a un innamorato dello Spirito e della Sua libertà che avverte il bisogno di spogliarsi di tutto e di vivere di sola preghiera, povero fra i poveri.
La sua evoluzione deve molto ai contatti che aveva iniziato a tessere con il movimento dei PO francesi e i Piccoli Fratelli e le Piccole Sorelle di Gesù. Viene anche influenzato dalla lettura di Simone Weil.
Solo nel febbraio del '56 si sente pronto e scende dalle colline verso il mare a bordo della sua amata vespa. Ha deciso di seguire l'impulso di liberarsi di tutto, ridurre all'essenziale il suo sacerdozio ed immergersi nella realtà della Darsena di Viareggio, fra pescatori ed operai per abbandonarsi lì, accanto a loro, al suo sogno di Amore.
Trova da vivere in un edificio diroccato, una sorta di baracca all'imbocco della darsena Toscana che la Capitaneria di Porto gli dà in concessione col patto che ne ricavi una cappella e un'abitazione per lui. Ne nascerà la Chiesetta del Porto, piccola, bianca, circondata di verde, un piccolo gioiello, un luogo di sosta e di pace nel rumoroso andirivieni della darsena: il tetto a chiglia di navicello, la parete di fondo lavorata a ritagli di travertino con murato dentro il Tabernacolo fatto di ferro, la porticina ornata di due pezzi di catena saldati a forma di croce.
“Ogni mattina, appena tacciono le sirene dei cantieri, suono la piccola campana posta sul tetto della Chiesetta: è nascosta fra i pini ed è di tra il verde che sbucano fuori i rintocchi a distendersi nel bosco degli alberi delle barche assiepate tutt'intorno, quasi accovacciate sull'acqua, a dormire ancora, nonostante lo splendore del sole.
È l'ora della messa, è l'ora del lavoro e mi accompagna all'altare l'orchestrale di una musica vera: alla fuga classica dei primi colpi di mazza rispondono suoni più lontani, colmati di eco profonde, il martellare secco dei calafati e poi le lamiere battute a suono metallico. Si accende, allora, qualche rumore di peschereccio e spesso fanno coro quelli dei grossi motoscafi in prova: le voci delle seghe a nastro cantano l'ultima pena del legno mentre irrompe violento l'inno trionfale dei martelli pneumatici che raccoglie ed unisce ogni altro rumore in un a solo potente”.
Siamo arrivati alla prima, importante tappa della sua vita: da qui nascerà il preteoperaio, uno dei primi in Italia, che legherà la sua sorte con uguale passione alle lotte operaie e alla ricerca spirituale.
Conquistare la fiducia dell'ambiente operaio non fu facile: cantieri navali anni '50, vita faticosa, condizioni di lavoro pesanti, maggioranza comunista, sindacato arroccato. “Cosa viene a fare questo prete?”. Poi adagio adagio la loro diffidenza si stemperò e Don Sirio venne da loro plasmato. L'ambiente così forte, così virile, così povero, così in basso ma così caldo lo trasformò. Quel lungo apprendistato fu per lui una sorta di iniziazione. Proprio ciò che accade presso le culture dove esistono rituali che attraverso prove di coraggio e tenacia segnano il passaggio del giovane al mondo dei maschi adulti.
Don Sirio visse qualcosa di simile, entrò in questa materia: corpi, sudore, fatica, peso e ne uscì trasformato. Lui, che fino ad allora era stato magro allampanato, divenne solido e robusto, come una quercia. Acquistò materia, non solo la incontrò, ma la assunse, la fece propria, la integrò al suo vasto mondo spirituale. Divenne un'altra persona, un corpo/spirito, un sacerdote/uomo, una persona/virile.
Nel 1959 arrivò il perentorio intervento delle autorità ecclesiastiche che lo ponevano di fronte al dilemma o fare il prete o fare l'operaio. La scelta incredibilmente sofferta, presa in giorni di isolata meditazione fu di continuare il rapporto con la Chiesa.
Finita l'esperienza di lavoro dipendente, rimase a vivere ancora sei anni in Darsena, mantenendosi come scaricatore di porto e dando vita a un periodico breve ed intenso come una fiammata, intitolato “Il nostro lavoro”.
“Quattro grandi pagine sulle quali riversavo, insieme ad amici operai e giovani professionisti, tutto il mio sogno. E gli operai avevano quattro pagine al mese meravigliosamente libere. Di una libertà seria, responsabile, povera. Fu iniziato con le aziende locali del porto, raggiungendo poi anche la periferia e piano piano allargandosi al punto che gli ultimi numeri erano arrivati ad una tiratura di seimila copie. Questo giornale trattava soltanto i problemi operai. Il periodico non si vendeva, si campava col cappello teso alla porta dei cantieri, degli stabilimenti, delle officine. Con gli spiccioli delle buste paga e ne avanzava”.
In quel periodo scrive il suo primo libro “Una zolla di terra” pubblicato da La Locusta: un lungo, poetico raccontarsi nel quale riversa la visione di quel Dio che lo aveva condotto per mano fin lì.
Il 1965 sarà per Don Sirio un anno importante: su invito del Vescovo si trasferisce in campagna, in località Bicchio, alla periferia Sud di Viareggio per dar vita insieme a Don Rolando a una comunità che vivendo all'insegna della povertà avrebbe continuato il sogno di tessere insieme Spirito e materia.
Un nuovo passaggio, una nuova integrazione, quella della solitudine e dell'essere insieme. Anche qui Don Sirio terrà saldamente in mano le due polarità vivendole entrambe, senza rinunciare a nessuna delle due, perché rimarrà sempre un solitario e insieme, da allora, cercherà fino alla fine l'integrazione della comunità.
Il Vescovo aveva assegnato a Don Rolando la parrocchia del Bicchio e i due iniziarono una esperienza parrocchiale agricola veramente originale.
“Abbiamo scelto di lavorare con le nostre mani liberando così il nostro ministero sacerdotale da ogni ombra di interesse materiale. Abbiamo conservato l'offerta per la celebrazione della Santa Messa - tolto, invece, in maniera completa, qualsiasi tipo di retribuzione, fino a respingere anche le offerte in occasione di matrimoni, funerali, benedizioni delle case.
Non abbiamo mai chiesto niente per la necessità di lavori alla nostra casa e nemmeno per i lavori di assestamento fatti alla chiesa parrocchiale e di restauro di alcune stanze adiacenti alla chiesa. La nostra casa l'abbiamo voluta lontana dalla chiesa parrocchiale per essere più dentro alla nostra gente, per impostare anche in modo visibile tutta la nostra pastorale non sul venite alla chiesa ma sull'andiamo in chiesa”.
La parrocchia era gestita insieme agli altri membri della comunità che in poco tempo crebbero rapidamente di numero. Mi ricordo che in cinque anni passammo da essere tre (io arrivai nel '66) a dodici in un crescendo vitale, un mescolarsi di generazioni, mentalità e generi. Eh sì, anche generi perché la novità maggiore di quegli anni credo fu rappresentata proprio dalla nostra presenza di donne (eravamo in due ragazze).
La saldatura che Don Sirio aveva operato fra Spirito e materia formava ormai un territorio capace di ospitare altre due polarità: il femminile e il maschile potevano integrarsi e convivere in maniera radicalmente nuova, annunciando la venuta di «nuovi cieli e nuove terre».
“La donna è il luogo della riconciliazione, è dove il Mistero della vita si incontra e diventa uno. Dio ha accettato questo luogo di incontro e di unità e si è umilmente rivolto a lei per potere nascere. L'umanità non ha ancora riconosciuto e tanto meno accettato la donna come luogo di riconciliazione, per questo la storia dell'umanità è ancora lontana dal suo compimento”.
In questo periodo scrive il suo secondo libro “Uno di loro” edito da Gribaudi ed inizia con Don Rolando il lavoro artigiano, quella forgiatura ornamentale del ferro che continuerà per quasi vent'anni e che gli fece amare tanto il lavoro artigianale, veramente a misura d'uomo, da suggerirgli di costituire negli anni seguenti un laboratorio di cultura artigiana in darsena.
Il periodo agricolo, che va dal '65 al '71 fu per Don Sirio una pausa, un prendere lena, un ritorno alle origini (ricordiamoci che era nato in un paesino dell'entroterra). Poter vivere insieme ad altri i suoi sogni permise il prendere forma di un modello di vita originale nel senso di originario: la vita evangelica? Un pezzetto di paradiso perduto? Il Regno di Dio vissuto in una parrocchia di campagna?
Ma poi il ribollio degli ultimi anni '60 lo rigettò nella mischia e nel '71 ci fu il ritorno in città: Don Sirio ospitò Don Luigi, Don Beppe e me nella chiesetta in darsena.
Il decennio '70 sarà fervido di avvenimenti e poiché le cose si richiamano con interdipendenze storiche molto precise , Don Sirio prestò ascolto alla voce dei movimenti che attraversavano il mondo occidentale, ma ancor più alla voce della natura che chiedeva di ripristinare una continuità fra sé e l'umano.
Tutte le grandi battaglie ecologiche, le lotte contro le centrali nucleari furono da lui combattute con tale passione da portarlo, durante una manifestazione contro la costruzione di una Centrale Nucleare a Montalto di Castro, ad occupare con altri la ferrovia, a essere per questo denunciato, all'esperienza del tribunale e alla successiva condanna a sei mesi con la condizionale di 5 anni. Ricordo che Don Sirio patì vivamente la condanna, come un'offesa fatta a tutta la Creazione, difendere la Creazione è diventare vittima del potere diceva accoratamente...
Siamo arrivati ad una nuova tappa: Don Sirio riprende a tessere la sua opera di integrazione, questa volta per ristabilire, almeno nella sua vita, il rapporto con l'ambiente. Capisce che deve prendersi cura del mondo che lo ospita. Permettere la reciproca espressione fra uomo e natura, ritrovare sintonia, riparare il grande e pulsante ambiente nel quale viviamo, rispettarne le interdipendenze biologiche divennero tematiche saldamente intrecciate alla sua vita.
Da questi temi l'impegno si è allargato a macchia d'olio: si occuperà di nonviolenza e antimilitarismo, dei gravi e tremendi, come amava definirli, problemi della pace: la lotta contro gli armamenti e soprattutto contro quelli nucleari lo videro presente in prima persona.
La minaccia rappresentata dalla massiccia presenza di testate nucleari era per lui una preoccupazione continua, il segno della follia umana. Follia espressa simbolicamente dalla realtà militare che divideva il mondo non tanto fra Est ed Ovest, ma di fatto fra Nord e Sud: il Nord mangia praticamente i tre quarti di risorse umane per sovrabbondanza di benessere e l'altra parte di umanità muore di fame a milioni e milioni ogni anno.
Gli sembrava poco concepibile credere in Dio al di fuori di una coscienza dell'attuale realtà storica: è assurdo credere che Dio sia creatore quando si permette che la creatura compia il sacrilegio supremo della distruzione della creazione, quando l'affermazione del proprio incontentabile benessere fa sì che gran parte dell'umanità sia sommersa dalla fame e dalla disperazione. La pace, quindi, come lotta, lotta contro tutto ciò che è l'opposto di Dio.
Riprendeva forza quel leitmotiv “lotta come amore” che lo accompagnava dal lontano '56. Tanto gli premeva comunicare, che Don Sirio mise a punto una nuova modalità di raccontare e fare conoscere le idee che gli erano care.
La penna non bastava più: erano poche migliaia gli abbonati a un giornalino che scriveva da anni e del quale era direttore, giornalista e correttore di bozze. Per diffondere quanto gli urgeva nel cuore inventò un genere per lui nuovo: 3 opere di teatro popolare da recitarsi nelle piazze e nelle chiese; si improvvisò regista, capocomico e tuttofare di una compagnia eterogenea che recitava e cantava andando in giro per l'Italia, nei cosiddetti circuiti alternativi.
Siamo arrivati negli anni '80: il laboratorio artigianale che aveva creato apre i battenti ad alcuni ragazzi handicappati che si cimentarono nel lavoro manuale, il proseguire dell'esperienza lo porterà a confrontarsi anche col tema normalità/anormalità spingendolo a percorrere lo spazio che separa i due mondi per trovare possibilità di incontro.
In controtendenza rispetto alla voglia di privato e normalizzazione che ormai sembrano prevalere, stringe i legami con chi riconosce compagno di cammino e non si sottrae all'impegno di continuare a parlare delle tematiche in cui credeva, ovunque lo chiamassero.
Nell'86 sono passati trent'anni da quando Don Sirio è approdato pieno di fervore in Darsena. Iniziò allora la sua straordinaria avventura di unire gli opposti, ponendo mano all'opera di tessere insieme Spirito e materia. In estate il tempo che gli era stato donato ha un'improvvisa accelerazione e mostra in filigrana che si sta consumando.
Si annuncia la malattia che lo tormenterà per due anni - come una spina nella carne. Viene invitato a rivedere il senso dell'integrazione che ha operato, a rivisitarla lungo la strada di un fisico sofferente che gli stringe addosso i limiti della materia per spingerlo a rinascere, e questa volta dallo Spirito.
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