giovedì 14 agosto 2008

LA LEGALITA' CANCELLATA

Su Repubblica di lunedì 11 agosto compare questo scritto di Guido Rampoldi che permette, alla luce dei fatti, di capire che cosa c'è dietro le tensioni e i conflitti di questi mesi. Consiglio la lettura integrale di questa lunga pagina storica.
Dopo l'indipendenza del Kosovo, dopo l'intervento russo in Georgia, cosa rimane della legalità internazionale, e più esattamente di quel suo fulcro che è, o era, la legalità di Helsinki? Nella capitale finlandese, sul finire della Guerra Fredda, occidentali e sovietici concordarono un compromesso per il quale gli uni avrebbero accordato una minima tutela ai diritti umani e gli altri avrebbero rispettato i confini delle nazioni (soprattutto delle nazioni orientali). Bene o male i princìpi che guidavano questo patto sono sopravvissuti ai due Blocchi, sia pure con gli inevitabili aggiornamenti apportati dai vincitori. Sicchè, per esempio, le più plateali violazioni dei diritti umani nel 1999 sono diventate casus belli, e occasione per l'Alleanza Atlantica di ritrovare sia una ragione sociale sia un motivo per estroflettersi al di là delle proprie frontiere. Ma neppure la vittoria della Nato sulla Serbia aveva messo in dubbio la sovranità di Belgrado sul Kosovo, ribadita nella premessa che apre l'accordo di armistizio. Poi, nella primavera scorsa, gli occidentali hanno stracciato quell'impegno e riconosciuto alla provincia serba lo status di nazione indipendente: in altre parole hanno deciso che i confini non sono più intangibili. A Belgrado la diplomazia europea più avvertita aveva tentato il possibile per scongiurare quell'esito, intuendone le conseguenze: Mosca avrebbe utilizzato a suo vantaggio la "legalità creativa" che gli occidentali stavano inaugurando sul campo. L'occasione era troppo ghiotta. E la sfida troppo alta per non essere raccolta. Come i russi certo non ignoravano, nei mesi precedenti all'attacco Nato in Kosovo gli ambienti atlantici più esuberanti avevano fatto circolare studi sulle violazioni dei diritti umani nel Caucaso e in Asia Centrale, lì dove stava per aprirsi quella partita degli oleodotti che Mosca non intende assolutamente perdere. La Nato cercava altri Kosovo nel Caucaso? In ogni caso, negli ultimi anni, gli Americani sono entrati di slancio in Paesi ex sovietici che già prima della nascita dell'URSS Mosca considerava suoi satelliti, dalla Georgia al Kirghisistan, all'Ucraina. Ma l'indipendenza riconosciuta al Kosovo avrebbe offerto a Putin la possibilità di una clamorosa rivincita.
Malgrado fosse lampante che la reazione russa sarebbe stata tanto furiosa quanto oculata, i governi europei, con l'eccezione di Madrid e Atene, preferirono non entrare in urto con il suscettibile alleato americano. E finsero di credere alla risibile spiegazione dell'inviato di Washington, Burns, per il quale il Kosovo era "un caso sui generis". Non è elegante citare se stessi, ma in questo caso aiuta a capire quanto ovvio sia stato il seguito: "Il guaio è - scrivevamo nel novembre 2007 - che i casi sui generis fondano, appunto, un genere. E in futuro potrebbero scroprirsi come appartenenti a quel genere, per esempio, le enclaves russe in Georgia che Mosca sostiene". Questo è esattamente quanto sta avvenendo adesso. Dopo aver dato prova della solita mesta subalternità a Washington, e per giunta ad un'amministrazione perniciosa per gli interessi dell'Occidente, gli europei hanno cercato di migliorare la loro penosa perfomance: ma è dubbio che vi siano riusciti. Da una parte manovrano per svuotare l'indipendenza del Kosovo, riducendo la provincia ad un protettorato dell'Unione europea (ma una parte del nazionalismo kosovaro, armato e suscettibile, non concorda). Dall'altra hanno tentato di placare Mosca respingendo la proposta americana di aggregare la Georgia alla Nato: ma a quanto pare questo non ha indotto i militari georgiani a condotte più prudenti, mentre certamente ha incoraggiato Putin a far uscire dagli hangar i bombardieri. Ora si tratta di far intendere al nostro grande fornitore di gas che non può egli continuare a groznizzare città e popolazioni. Tuttavia i richiami ai diritti umani che salgono da questo occidente - l'Occidente del sistema rumsfeldiano di tortura, di Abu Ghraib, dell'Iraq -  hanno nel mondo, ci piaccia o no, credibilità limitata e udienza scarsa. Ma coraggio, a novembre gli Stati Uniti avranno un nuovo presidente, il quale forse riuscirà a dare all'Occidente quello che l'Europa, nella sua pochezza, non riesce a immaginare: una strategia lungimirante, un'immagine fondata su valori universali, e magari chissà, perfino il fondamento di quella nuova legalità internazionale senza la quale non ci sarebbe all'orizzonte altro che un disperato ribollire di piccole e grandi guerre.
Chi non conosce gli antefatti, difficilmente potrà valutare i fatti. Cancellata la legalità, aumentano le tentazioni e le "ragioni" delle armi. Le deprecazioni non servono: occorre ripristinare la legalità e passare a trattative oneste. 

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