sabato 30 agosto 2008

PERDERSI PER TROVARSI

Commento alla lettura biblica - domenica 31 agosto 2008

Da allora Gesù cominciò a spiegare ai suoi discepoli che doveva andare a Gerusalemme e soffrire molte cose da parte degli anziani, dei capi dei sacerdoti, degli scribi, ed essere ucciso, e risuscitare il terzo giorno.Pietro, trattolo da parte, cominciò a rimproverarlo, dicendo: «Dio non voglia, Signore! Questo non ti avverrà mai». Ma Gesù, voltatosi, disse a Pietro: «Vattene via da me, Satana! Tu mi sei di scandalo. Tu non hai il senso delle cose di Dio, ma delle cose degli uomini». Allora Gesù disse ai suoi discepoli: «Se uno vuol venire dietro a me, rinunzi a sé stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vorrà salvare la sua vita, la perderà; ma chi avrà perduto la sua vita per amor mio, la troverà. Che gioverà a un uomo se, dopo aver guadagnato tutto il mondo, perde poi l'anima sua? O che darà l'uomo in cambio dell'anima sua? Perché il Figlio dell'uomo verrà nella gloria del Padre suo, con i suoi angeli, e allora renderà a ciascuno secondo l'opera sua (Matteo 16, 21-27).


Se si legge di seguito e con attenzione il capitolo 16 di Matteo si prova un certo brivido. Al versetto 17, Pietro viene dichiarato "Beato", ricolmo della benedizione di Dio e della promessa di Gesù; qui lo stesso discepolo viene definito "satana" e "scandalo"e pietra d'inciampo, ostacolo.

Sappiamo bene che i Vangeli sono testimonianze, non cronache o stenografie delle parole di Gesù, ma queste righe potrebbero in qualche modo essere la eco fedele di una contraddizione che il maestro di Nazareth evidenziò nella vita di questo discepolo appassionato. La tradizione che poi sfociò nel Vangelo di Matteo, in cui Pietro occupa un posto rilevante, sembra in realtà alludere ad ogni discepolo di cui Pietro è figura e rappresentate.

Quindi questo "oscillare" tra beatitudine e tradimento, che qui viene impersonato da Pietro, in realtà registra un percorso o almeno un rischio che accomuna un po' tutti nelle origine cristiane.
Leggendo oggi questa pagina non facciamo fatica a ritrovarci in essa, a vedere il "Pietro" che c'è in ciascuno/a di noi.

Questa è un'ammonizione preziosa per ogni generazione di cristiani: nessuno/a di noi, per quanto carico della benedizione di Dio, è mai garantito dal diventare "satana" e "scandalo". La strada di Gesù non è mai una via gloriosa e senza ostacoli.

Satana

Il diavolo non esiste, ma è una significativa figura biblica, un linguaggio che indica un "porsi contro", un essere contrario. Ebbene, che cosa oggi può rendere me e te "satana" rispetto alla proposta di Gesù?

Pietro sognava forse un sentiero di successo per Gesù e per il gruppo e non aveva ancora adeguatamente fatto i conti con la sordità e la cecità che attorniava il gruppo del maestro di Nazareth. Soprattutto - ecco il punto chiave di questa figura - Pietro non aveva ancora preso atto della "divisione" che c'era nel suo cuore. L'opposizione al vangelo non è solo qualcosa che troviamo massicciamente presente nel mondo, ma è una realtà che attraversa in profondità il mio cuore.

E' troppo semplice, anzi deviante, collocare l'opposizione al vangelo completamente fuori di noi. Ci vuole un bel pizzico di coraggio per riconoscere che anch'io "faccio resistenza", anch'io mi oppongo al vangelo, anch'io sono "il Pietro" destinatario di tanti doni di Dio, ma anche "il Pietro" che trova nella sua vita desideri, pensieri e comportamenti contrari alla strada di Gesù.

La violenza, l'indifferenza, l'egoismo, il narcisismo, la banalità, la superficialità … sono dei "satana" con cui debbo fare i conti ogni giorno in prima persona. Non solo, ma io sono anche "il Pietro" che è "di scandalo", cioè non dà una buona testimonianza e crea ostacoli e inciampo al cammino di fede di altri/e.

In questo modo il vangelo di Matteo, narrando di Pietro, parla di me, di te di ciascuno/a di noi, delle nostre chiese.

Se guardo al meeting di Rimini di Comunione e Liberazione e a certi scenari religiosi, sia liturgici che mediatici, tutto è all'insegna della grandezza, dell'efficienza, della potenza. Dominano sfoggio e ostentazione. Troppo spesso, sotto un grande crocifisso, campeggia un altare più ricco di un trono imperiale con tante eminenze vestiti da paggi imperiali tra volute di incenso. Si tratta di uno "stile" che purtroppo impregna e offusca "satanicamente" il tessuto della nostra chiesa.

Prenda la sua croce

Ma allora, per non essere Satana e per non essere di "scandalo", che cosa devono fare i discepoli di ieri e di oggi?

L'indicazione perentoria di Gesù va colta nel suo significato profondo: rinnegare se stessi, prendere la propria croce e seguire Gesù. Tre punti di un programma poco allettante che spesso hanno fatto del cristianesimo una religione della negazione di sé, quasi dell'odio di sé, di una ascesi mortificante e umiliante ed hanno prodotto degli "eroi tristi e superbi", psicologicamente prigionieri delle loro pratiche virtuose.

Questo linguaggio paradossale del vangelo può dar luogo a grossolani fraintendimenti. Infatti il rinnegamento di cui parla Gesù non ha nulla in comune con un'abnegazione autodistruttiva. Si tratta piuttosto di cessare di mettere se stessi al centro di tutto, di collocare le esigenze del regno di Dio al primo posto, di coniugare e congiungere amore di sé e amore del prossimo.

In questa luce prendere la propria croce non è un invito a tuffarsi nelle sofferenze, a cercarle come se il cristiano esemplare fosse chi si crocifigge e si autoflagella. Sarebbe un terribile equivoco. Prendere la propria croce non significa riprendere la via di certa ascetica tradizionale, ma assumere le proprie responsabilità, le proprie decisioni perché la nostra vita non sia banale o non resti prigioniera degli idoli. Gesù non ci invita mai a disertare dalla vita, a fuggire dalla felicità autentica.

Egli piuttosto ci mette sull'avviso: se decidi di radicare la tua vita sulla strada dell'autenticità, della giustizia, della solidarietà … sappi che ti butteranno addosso la croce: non aspettarti il battimani.
Ma Gesù invita i discepoli alla consapevolezza che questa "croce" alla quale va incontro, questi sentieri, questi percorsi di vita quotidiana sono un perdere la propria vita per "ritrovarla" come esistenza densa, ricca di senso. La parola di Gesù è una sollecitazione a "prendere questa croce" senza lasciarci spaventare, vincendo la paura di andare verso il nulla.

"Mi segua": ecco l'ultima secca esortazione. La sequela di Gesù non è una calda ammirazione di un eroe e di un modello, ma la ricerca di orientare tutta la nostra esistenza nella direzione della sua vita nelle concrete scelte di ogni giorno.

Poi, come mi testimonia Paola in una densissima lettera, ci sono giorni in cui la malattia o la disoccupazione o la solitudine hanno il peso di una croce totalizzante, che toglie la stessa possibilità di aprire il cuore alla fiducia. Non è spenta in quest'ora la fede in Dio. Credere che Dio non ci abbandona mai, anche se siamo precipitati nella disperazione o nella abulia più totale, forse è tutto ciò che possiamo fare nella nostra condizione creaturale. Spesso la fede in un Dio che non interviene ci avvicina all'esperienza e al grido inascoltato eppure fidente di Gesù.

Perdere per trovare

Sono vecchio e una constatazione mi viene spontanea. Se negli anni della mia esistenza qualche volta ho saputo andare oltre il mio egoismo e perdere la mia vita e non l'ho tenuta avidamente per me, ebbene davvero l'ho trovata e ritrovata più genuina, più aperta, più felice, più feconda.

Gesù non fa promesse a vanvera. Vorrei prendere molto più sul serio questa promessa. Tanti uomini e tante donne oggi, in uno scenario nazionale e mondiale dominato da chi cerca pretesti per nuove guerre e fa politica per "allargare i propri granai", esperimentano che mettere a disposizione ciò che si è e ciò che si ha è l'unico modo per ritrovare il senso della propria vita.

Sempre di più, o Dio, la strada che Tu ci indichi al seguito di Gesù è di straordinaria attualità e fecondità. Senza il Tuo soffio vitale noi siamo tentati ogni giorno di annacquare il messaggio del vangelo.

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