venerdì 3 ottobre 2008

CHE FACCIAMO DELLA VIGNA?

Commento alla lettura biblica - domenica 5 ottobre 2008
Ascoltate un'altra parabola: C'era un padrone che piantò una vigna e la circondò con una siepe, vi scavò un frantoio, vi costruì una torre, poi l'affidò a dei vignaioli e se ne andò. Quando fu il tempo dei frutti, mandò i suoi servi da quei vignaioli a ritirare il raccolto. Ma quei vignaioli presero i servi e uno lo bastonarono, l'altro lo uccisero, l'altro lo lapidarono. Di nuovo mandò altri servi più numerosi dei primi, ma quelli si comportarono nello stesso modo. Da ultimo mandò loro il proprio figlio dicendo: Avranno rispetto di mio figlio! Ma quei vignaioli, visto il figlio, dissero tra sé: Costui è l'erede; venite, uccidiamolo, e avremo noi l'eredità. E, presolo, lo cacciarono fuori della vigna e l'uccisero. Quando dunque verrà il padrone della vigna che farà a quei vignaioli?». Gli rispondono: «Farà morire miseramente quei malvagi e darà la vigna ad altri vignaioli che gli consegneranno i frutti a suo tempo». E Gesù disse loro: «Non avete mai letto nelle Scritture: "La pietra che i costruttori hanno scartata è diventata testata d'angolo; dal Signore è stato fatto questo ed è mirabile agli occhi nostri?" Perciò io vi dico: vi sarà tolto il regno di Dio e sarà dato a un popolo che lo farà fruttificare (Matteo 21, 33-43).
 
 
Qualcuno si è montato la testa e ha pensato in questi anni di essere il padrone del mondo. I grandi signori delle banche, il sultano di Arcore e il guerrafondaio USA hanno pensato che il mondo fosse come un uovo da friggere in padella. Qualcuno qui da noi lo pensa tuttora. Se ne vedono i disastri. La mentalità del possesso, dell'arbitrio e della violenza danno i loro frutti: una settimana fa sei vigili a Parma hanno violentato un nero e due giorni fa a Roma è toccato a un cinese. Altro che cura della vigna ... Questa è devastazione.
Che cosa stiamo facendo della vigna, cioè del mondo, che Dio ci ha affidato? Mi sembra che stiamo "giocando" a distruggere la vigna, la buona vigna che ci sostiene, ci alimenta, ci dà l'aria per respirare, l'acqua da bere, il cibo per vivere, i colori per sognare…

Forse questa prima riflessione può sembrare "fuori tema", ma l'amore e la cura del creato e della vita in tutte le sue forme costituiscono parte essenziale del regno di Dio.

Una parabola travisata

Probabilmente questa parabola sulla bocca di Gesù fu assai più breve. Già i redattori dei Vangeli la utilizzarono per indicare, polemicamente, nel giudaismo ufficiale del loro tempo, le persone che rifiutavano Gesù.

Occorre compiere lo sforzo di ricollocare la parabola nel contesto in cui la pronunciò Gesù. Egli, parlando ai discepoli e ad altri credenti di Israele, pose l'accento su quella vicenda che attraversa ogni religione e ogni singolo credente: la tragica possibilità di rifiutare gli inviti, gli appelli, i messaggi che Dio in mille maniere, con instancabile pazienza, ci fa giungere.

Noi cristiani, nei secoli, abbiamo dato di questa parabola un'interpretazione di comodo: sono gli altri che rifiutano Dio e il Suo messaggio. Così ci siamo messi al riparo dall'ammonizione, dall' "interpellazione" che questa pagina evangelica rivolge a ciascuno di noi.

Il teologo cattolico Marcelo Barros scrive al riguardo: "In questa parabola si tratta di una allegoria della mancata testimonianza. Il gruppo di contadini che uccidono gli inviati rappresenta l'infedeltà di coloro che (nel giudaismo come in qualsiasi altra comunità religiosa) si turano le orecchie dinanzi ai richiami di Dio e trasformano la storia in luogo di ruberie, di violenze e di prevaricazioni".

In ogni tradizione religiosa è vero ciò che Geremia scriveva per i suoi contemporanei: "Da quando i nostri antenati uscirono dall'Egitto fino ad oggi, dice il Signore, ho sempre continuato a mandarvi i miei servi, i profeti. Ma nessuno mi ha ascoltato, nessuno ha prestato attenzione. Anzi, siete diventati ribelli più dei vostri antenati" (Geremia 7, 25-26).

Noi cristiani siamo degli specialisti nell'usare il messaggio biblico a nostro vantaggio indirizzandolo polemicamente contro altri o più semplicemente deviandolo affinché non ci raggiunga.

Forse spesso siamo incorsi e incorriamo in una deviazione peggiore: Dio e il Suo regno sarebbero una nostra proprietà. Scrive il teologo Eugen Drewermann: "Uscire dalle definizioni che esistono adesso significa capire che Dio non diventa mai una proprietà e che la Sua vigna, il Suo regno, non ci appartiene mai. Noi non siamo mai altro che degli affittuari di un dono che ci è stato affidato" (Quando il cielo tocca la terra, Queriniana, pag. 132).

Siamo capaci di rifiutare l'Amore

Gesù non aveva l'animo di un fustigatore. Conosceva però in profondità il "condominio interiore" della sua e nostra umanità e voleva aiutare i suoi ascoltatori a esplorarlo. Davanti a Dio (qui il padrone di casa) che ama in mille modi la Sua vigna, cioè la "casa di Israele", la vita del popolo e dei singoli, noi voltiamo le spalle.

L'alleanza amorosa e la sollecitudine di Dio per la vigna sono ben descritte in questo susseguirsi di verbi: "piantò…circondò…scavò…costruì…e affidò". La Sua attesa dei frutti era ben comprensibile, ma andò totalmente delusa. Sì, noi siamo tragicamente capaci di rifiutare ripetutamente l'amore di Dio, di non tenerne conto. Siamo capaci di stravolgere un messaggio d'amore, di "ucciderlo", cioè di spegnere ogni voce, di soffocare…

Questo va detto non per deprimerci, per coltivare una falsa umiltà o innescare dei sensi di colpa. No: questo va detto per conoscere alcune pieghe del mio, del tuo, del nostro cuore.

Dio non si arrende!

L'amore di Dio non si lascia paralizzare o bloccare dai nostri rifiuti: "la vigna verrà affidata ad altri i quali la faranno fruttificare… Sarà tolto a voi il regno di Dio e sarà dato ad un popolo che lo farà fruttificare".
Dio cerca altre strade, ma non cessa d'amare. Né i figli di Israele, né i discepoli di Gesù, né i credenti di qualunque altra religione possono pretendere di possedere la vigna, avere il monopolio del regno di Dio. E' un avvertimento prezioso che non possiamo mai permetterci di dare per scontato.
Mai come in questi anni ho toccato con mano questo "passaggio della vigna ad altri". Sempre di più mi imbatto e poi mi incontro con persone che, emarginate da quelle istituzioni che si ritengono e si definiscono bocca della verità e "organi" di infallibilità, sono veri figli e figlie del regno.
La più bella "città del regno di Dio" è fuori dalle mura, fuori dai perimetri. Quanto più la città sacra fa propaganda dei suoi prodotti, dei suoi santi e dei suoi dogmi su tutti i video del mondo, tanto più quelli che hanno gustato la libertà dei figli e delle figlie di Dio cercano altri spazi.
Come ho scritto quattro giorni fa su questo blog, ho partecipato in Spagna ad alcuni incontri ecclesiali. Per lo più mi sono trovato davanti ad una realtà comunitaria legata a filo triplo alle sue madonne, ai suoi riti, in difesa dei "valori non negoziabili". Tridui, novene, santi, pellegrinaggi: il mondo dei pii che guarda con diffidenza la realtà profana, che guarda gli altri dall'alto della propria verità e della propria virtù "presunte". Nessuno è più prigioniero di chi si imprigiona da solo. Nutro una profonda speranza: che Dio mi spinga sempre di più verso le pietre scartate. Guardo la mia piccola vita:  se qualcosa nel mio cuore si è mosso nella direzione del Vangelo, devo riconoscere che gli stimoli maggiori li ho ricevuti dalle persone che  sono "fuori regola"… Sono "gli stranieri nella chiesa" che mi hanno insegnato che cos'è il regno di Dio.
Questa per me è una tessera decisiva nel mosaico della conversione: smetterla di guardare ai riferimenti ufficiali (che sono fari spenti, lampadine bruciate) e cercare le "luci delle strade". Ai margini, nelle periferie risuonano le voci e si alzano le grida che ci risvegliano alle nostre responsabilità. Nel libro dei Proverbi leggiamo: "La Sapienza grida per le strade, nelle piazze fa udire la sua voce" (1, 20).
Ogni giorno di più mi sento un mendicante di Dio. Voglio cercarlo con gli uomini e le donne che non si nascondono dietro fortilizi istituzionali e dogmatici, che conoscono l'incertezza, la debolezza, la fragilità del vivere e che detestano le statuine di gesso e i santi artificiali. Dio non ha bisogno di megafoni. Forse potrò lasciarmi coinvolgere dal soffio leggero di tante piccole esistenze che, quasi senza saperlo, costituiscono gli operai della vigna.

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