FELIX MOSER, Chi osa dirsi cristiano?, Claudiana, Torino, pagg. 96, € 9.
Un giovane teologo riformato, abituato al dialogo interreligioso e attento ai processi culturali in corso, avverte la possibilità che, in nome del dialogo stesso, taluni cristiani vogliano quasi mettere tra parentesi la propria "eredità" e identità. Ci si può illudere che la cancellazione del riferimento "cristiano" renda più dialogici ed accoglienti, ma "il dialogo interreligioso diventa fruttuoso quando ciascun interlocutore assume in maniera leale e critica la propria eredità" (pag. 8). Può trattarsi di un equivoco che evidenzia lo sfaldarsi dell'audacia e del coraggio di esporsi e di "rendere conto della speranza che è in noi" (1 Petro, 3,15). Sostanzialmente il nostro Autore ci mette in guardia da una "fede non espressa" che può sfociare in una filantropia o in un discorso sul divino genericamente inteso. "Ha ancora senso, si domanda il nostro Autore, dare la priorità all'aggettivazione della propria appartenenza cristiana in un tempo in cui il cristianesimo stesso è alla ricerca di plausibilità e di credibilità nel mondo moderno?" (pag. 6). La risposta positiva del teologo svizzero arriva al lettore-lettrice attraverso alcuni passaggi che il libro propone nei suoi 21 brevissimi capitoli.
Questo libro mi ha particolarmente interessato perché di tanto in tanto spunta la "tentazione" di vergognarsi di Gesù, del suo nome o del suo messaggio o semplicemente di non vederne più l'originalità e la fecondità per il nostro tempo e per la nostra vita personale e comunitaria.