martedì 28 aprile 2009

BUONA LETTURA

CORRADO AUGIAS - VITO MANCUSO, Disputa su Dio e dintorni, Mondadori, Milano 2009, pagg. 272, euro 18,50.
Quando due persone intelligenti dialogano tra di loro, il "prodotto" è quasi sempre garantito. Ma qui forse non dobbiamo attenderci il livello e lo spessore delle precedenti interviste di Augias a Mauro Pesce o a Remo Cacitti.
Ho letto con interesse il volume (che in realtà è più rivolto ai "dintorni" che non alla disputa su Dio) e sono riandato col pensiero al celebre "Dio esiste?" di Hans Kung, un'opera alla quale rimando i lettori di queste note.
Nulla di inedito o di sovversivo nel vivace e schietto dialogo di Augias e Mancuso. Va da sè che il lettore parteggi, si senta più vicino all'uno o all'altro.
Io mi sento molto vicino alla sensibilità e all'impianto storico-critico di Augias e assai estraneo al metodo e ad alcune posizioni teologiche di Mancuso. Come credente constato che sono proprio le "domande" di Augias quelle che anch'io mi sono posto nei lunghi anni della mia vita e del mio cammino di fede. Esse mi hanno aiutato a credere, a distinguere accuratamente Gesù da Dio, la fede dall'istituzione, la chiesa dalla gerarchia. Da sempre mi occupo del passaggio dal "messaggio" alla dogmatica, per cui i concili di Nicea, di Efeso, di Costantinopoli e di Calcedonia rappresentano per me un "confronto" ineludibile e un progressivo distanziamento dalle origini del movimento di Gesù. Così pure non potrei dirmi discepolo del nazareno se pensassi ceh Gesù è Dio. La trinità è una bella metafora, ma non è "una ontologia divina".  Gesù non ha mai pensato - almeno questo la ricerca ha oggi assodato - di essere Dio (o la seconda persona della trinità!) o di fondare una religione diversa dall'ebraismo. Il cristianesimo, come religione separata dall'ebraismo, si costituisce lentamente e si esprime pienamente solo nel secondo secolo. Augias su questo terreno, anche per il confronto con Pesce, Destro, Cacitti, Calimani e tanti altri, non è affatto ingenuo. A volte il lettore crede che sia lui il teologo critico. Nulla mi è servito a rinnovare la mia fede sul piano cultural-teologico quanto l'utilizzo rigoroso dei metodi storici e critici.
Il professor Mancuso è soprattutto, a mio avviso, un raro esempio di acume filosofico e di libertà. Pur essendo sul piano teologico uno studioso assai tradizionale, non è un tradizionalista e lo abbiamo constatato nelle sue limpide prese di posizione circa la riammissione dei lefebvriani nella comunione cattolica da parte di papa Ratzinger. La sua genialità creativa compare in più pagine del volume e lascia il segno. Però Mancuso non è un esegeta e non sembra porsi i problemi che travagliano e vitalizzano l'attuale oceano delle ricerche cristologiche (Salas, Haight, Vigil, Knitter, Hick, Patterson...) e delle teologie del pluralismo religioso con quella audacia e quella attenzione ermeneutica che oggi caratterizzano una crescente, seppur numericamente minoritaria, parte degli studi del Secondo Testamento e della storia del dogma. Sono particolarmente in disaccordo con due affermazioni di Mancuso: "Il fatto è che Spinoza sa bene che, senza un adeguato discorso su Dio, cioè sul fondamento razionale dell'essere, non si dà alcuna possibilità di stabilire un'etica. Io la penso allo stesso modo" (pag. 219). Mi trovo più vicino al pensiero di Augias: "Sostenendo che l'etica esiste solo in quanto derivata, imposta da Dio, le si nega ogni autonomia" (pag. 249).
Faccio enorme fatica a credere, anzi non credo affatto, che la mariologia cattolica, unendo vergine e madre come evidente paradosso, abbia compiuto "una sintesi geniale" (pag. 197).  
Il dialogo termina (in queste pagine!) con un riferimento musicale. La vita è, dice Mancuso, lo spartito globale: "Ha un'importanza relativa la sigla che gli apponiamo, se cristiana, ebraica, musulmana, indù, buddhista, atea o un insieme variopinto di tutto ciò. Quello che conta è la musica che ne promana e la capacità di generare amore, gioia, pace, giustizia" (pag. 254). Come non essere d'accordo con lui?
Ma forse oggi, per ascoltare una musica liberatrice, da più parti si avverte, anche nelle chiese cristiane, l'esigenza di una riflessione storica ed ermeneutica che non rinunci a rimettere sotto esame quel "blocco dogmatico" che anche l'opera di Vito Mancuso non scalfisce. Eppure libri come questo servono a farci intravvedere la necessità di passi ulteriori, urgenti e necessari.