Se è vero, come credo, che viviamo in un società in cui si smarriscono continuamente i riferimenti più solidi, non si tratta di costruirne altri, finti, e per di più violenti. Si tratta invece di acquistare la consapevolezza del limite, che è anche un dono, anzi che può aprire al per-dono. L’uomo onnipotente abbrutisce nel risentimento, è incapace di perdonare e si pensa imperdonabile. Si diffonde con grande rapidità e potenza il mito della perfezione, il mito dell’autonomia fine a se stessa, un’autonomia che è incapacità di incontrare l’altro, di riconoscersi figli, “figli dell’uomo”: in aramaico “figlio dell’uomo” significa semplicemente “essere umano”. La nostra natura ci consegna gli uni agli altri fin dalle origini: grazie ad altri siamo nati, grazie ad altri possiamo tornare ad uscire da noi stessi, fuori dall’universo chiuso della colpevolizzazione e della perfezione, del merito e della colpa. Che + perfetto non perdona e, soprattutto, non si perdona. Un senso di colpa di carattere individualistico, figlio del delirio di perfezione e del merito, è proprio di chi vuol farsi “figlio a se stesso” per non riconoscersi “figlio dell’uomo”, nel limite e nella riconoscenza, nell’obbligo e nella cura. Questo senso di colpa avvelena, impedisce di vedere il volto dell’altro, la relazione di fiducia.
Ivo Lizzola, in Animazione Sociale n. 12/2008