La Stampa di domenica 2 agosto documenta un fenomeno molto diffuso che il Vaticano è costretto a prendere in considerazione. Molte donne, che hanno vissuto o con un prete da cui è nato un figlio o una figlia, vogliono poter difendere i loro diritti e i diritti dei loro figli. Si sono attivate e con l’analisi del DNA tutto è più facile. Il Vaticano sa bene che questa realtà è ben presente in tutto il mondo. Ricordo di aver incontrato un vescovo africano e uno vietnamita alcuni anni fa. Esse che pubblicamente erano a favore del celibato obbligatorio, privatamente mi fecero conoscere le loro mogli.
Ora la condizione dei figli dei vescovi e dei preti, anche nella accresciuta coscienza dei diritti dei minori, in questi ultimi venti anni si è presentata come “pericolosa” per le diocesi e per il Vaticano. Parecchie donne hanno denunciato questo “abbandono” e questa condizione anche psicologicamente insostenibile. Anche per paura di dover pagare multe ingenti, il Vaticano sta studiando una soluzione che separi i beni personali del prete dai beni della chiesa che non verrebbero coinvolti e compromessi (c’è sempre la preoccupazione del denaro!).
Il figlio assumerebbe il cognome del padre prete che potrebbe usufruire di una sanatoria e rimanere nel ministero.
Questa potrebbe essere la strada, un po’ storta e nascosta, con cui il Vaticano apre un viottolo per superare il celibato obbligatorio? Intanto almeno 80.000 figli e figlie potranno un po’ respirare e anche questa volta le donne vedranno almeno parzialmente riconosciuta la loro lotta.