Su L'Unità di domenica 11 aprile Moni Ovadia ha scritto queste righe coraggiose che i politici dovrebbero prendere sul serio.
I telegiornali di ieri mattina riportavano la notizia che il primo ministro israeliano Nethaniau non parteciperà al prossimo meeting di Washington sul disarmo. La decisione è motivata dall'intenzione dei governi di Egitto e Turchia di mettere in discussione la posizione di Israele in merito al trattato di non proliferazione delle armi nucleari. Nethaniau trova inaccettabile persino che si discuta dell'arsenale atomico di Israele. Perché? Per ribadire il dogma della sicurezza. Questo dogma nato originariamente sul peso delle cinque guerre sostenute in soli sessant'anni di esistenza, sull'orrore attentati terroristici, sulle reiterate minacce di distruzione, ultima delle quali quella del farneticante Ahmadinedjad, è però diventato un manganello ideologico usato per affermare l'eccezione israeliana. Ovvero, in nome della sicurezza, a priori, il governo israeliano rivendica l'indiscutibile diritto ad agire in difformità del diritto internazionale e dei trattati multilaterali. Nethaniau continua a chiedere perentoriamente che all'Iran sia impedito a tutti i costi l'accesso all'arma nucleare ma dal canto suo non è disposto neppure a discutere dell'esistenza e della consistenza dell'arsenale nucleare israeliano. Con la stessa perentorietà dichiara unilateralmente e senza pudore che costruire a Gerusalemme est è come costruire a Tel Aviv in totale spregio delle risoluzioni dell'Onu. Questo atteggiamento arrogante, basato solo sul diritto della forza e sulla moral suasion rappresentata dalle tragedie subite dal popolo ebraico utilizzate come ricatto, è miope e autolesionista. Israele è nato nel seno della legalità internazionale con una memorabile votazione dell'Onu, chiesta e ottenuta, con esito favorevole, dai leader sionisti. Sputare sull'autorità delle Nazioni Unite e sulle sue risoluzioni è come sputare controvento e gettare discredito su se stessi.