venerdì 23 aprile 2010

PASTORI, LUPI E MESTIERANTI

27 Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono. 28 Io do loro la vita eterna e non andranno mai perdute e nessuno le rapirà dalla mia mano. 29 Il Padre mio che me le ha date è più grande di tutti e nessuno può rapirle dalla mano del Padre mio. 30 Io e il Padre siamo una cosa sola» (Giovanni 10, 27-30).

 

Questi brevi versetti vanno situati nel contesto del capitolo di Gesù "buon pastore".

Insomma, a 60 o 70 anni dalla vita del nazareno, il redattore del Vangelo di Giovanni, ripropone alla sua comunità un po' sconsolata e smarrita per le crescenti difficoltà, opposizioni e stanchezze, l'immagine di Gesù buon pastore.

Davvero il profeta di Nazaret era stato e veniva ricordato, riprendendo una simbologia biblica molto nota, come il pastore amorevole che si era preso cura delle "pecore" deboli e smarrite.

L'autore del Vangelo vuole rassicurare i suoi fratelli e le sue sorelle che Gesù continua a prendersi cura di loro. Il risorto, in qualche modo, è ancora il pastore che li ascolta, li accompagna, li guida. Nella sua parola è possibile incontrare la strada che non inganna perché è Dio che, attraverso Gesù, non permetterà che siano strappati al Suo amore.

In tanti momenti della vita è davvero fondamentale sapere di poterci fidare di Dio e sapere che, tra mille strade e proposte che si affacciano come allettanti, quella del Vangelo resta davvero affidabile.

Ma questa insistenza sul buon pastore, sulla sua capacità di amore e di cura, sulla sua affidabilità, sulla sua illimitata disponibilità può suggerirci un'altra considerazione. Probabilmente l'Autore di queste righe parla così anche perché nella comunità bisognava ricordare, soprattutto a coloro che ne erano gli animatori, quale dovesse essere il loro stile di vita. A volte già si erano presentate situazioni pericolose, ambigue: taluni "animatori" la facevano da padroni o, comunque, il loro comportamento non esprimeva cura e tenerezza. Gesù aveva già ammonito i suoi discepoli e davvero aveva visto lontano. Nel secondo secolo, quando si passò dal movimento di Gesù alla "fondazione" della chiesa (cosa mai voluta da Gesù che aveva sempre agito da ebreo e aveva "fondato" un gruppo totalmente e criticamente interno al giudaismo del suo tempo), cominciò a verificarsi che taluni "responsabili – presbiteri – anziani – sorveglianti" erano ben lontani dallo spirito e dallo stile del buon pastore.

L'evangelista già allora intravedeva segnali in questa direzione e metteva in guardia la comunità.

Si è verificato (ed è tuttora attuale) che molti "pastori" siano diventati dei "lupi" o dei mestieranti, talmente sicuri di sé ed estranei allo spirito di cura e di servizio, da essere la più grande rovina della chiesa. Ogni "ministero" deve avere come "parametro" il comportamento di Gesù. Il "pastore" prima di chiedere ascolto è un fratello o una sorella che sa "accompagnare ascoltando".

 

Un grande testimone

 

Riporto qui alcune righe di un notissimo teologo protestante, martire del nazismo:

«Il primo servizio di cui siamo debitori agli altri membri della comunità è di ascoltarli. Come l'inizio del ostro amore per Dio consiste nell'ascoltare la Sua parola, così l'inizio dell'amore del prossimo consiste nell'imparare ad ascoltarlo. L'amore di Dio per noi si distingue proprio in questo: che non si limita a parlarci, ma vuole anche ascoltarci.

Imparare ad ascoltare il nostro fratello è dunque fare per lui ciò che Dio ha fatto per noi. Certi cristiani ed in particolare i predicatori, si credono sempre obbligati a "dare qualcosa" quando sono con altri uomini. Dimenticano che ascoltare può essere più utile che parlare. Molte persone cercano un orecchio che li voglia ascoltare e non lo trovano fra i cristiani, perché i cristiani si mettono a parlare proprio quando dovrebbero saper ascoltare. Ma che non sa più ascoltare il suo fratello finisce per non ascoltare neppure più Dio stesso, salvo parlargli in continuazione.

Egli introduce così un germe di morte nella sua vita spirituale e tutto quello che dice finisce per non essere altro che chiaccera religiosa, condiscendenza clericale, valanga di parole pie. Non sapendo più accordare un'attenzione tesa e paziente agli altri, si parlerà loro sempre fuori bersaglio. E ciò senza più rendersene conto. Che stima il suo tempo troppo prezioso per poterlo perdere ad ascoltare gli altri, in effetti non avrà mai tempo per Dio o per il prossimo; non ne avrà che per se stesso, per i suoi discorsi e le sue idee personali» (Dietrich Bonhoeffer)

 

"Io e il Padre siamo una cosa sola"

 

L'Autore del Vangelo fa un'altra connessione: Gesù è il buon pastore perché vive e concretizza quello che tutta la Bibbia dice di Dio. Il buon pastore in assoluto è Dio (Salmo 23 e profeti) e sia Gesù che gli "animatori-ministri" della comunità devono cercare di "imitare" l'amore che Dio, il Padre, ha per le Sue "pecore". Gesù, ci dice l'evangelista, ci è riuscito davvero. Egli ha fatto suoi i "pensieri e gli atteggiamenti" di Dio. Certo, l'evangelista usa un linguaggio enfatico per dire quanto Gesù si sia davvero avvicinato a Dio nel suo stile di vita, quanto si sia convertito e trasformato secondo la volontà di Dio. Per dire che Gesù era stato il pastore secondo il cuore di Dio, si usa un linguaggio morale mistico, celebrativo: davvero Gesù ha agito come agisce Dio…

A volte questa espressione, attraverso una interpretazione infondata ed addirittura umoristica, ha voluto "dimostrare" che Gesù è Dio come il Padre. Quando si hanno occhiali dogmatici, si sfasa ogni lettura biblica. Gesù sarebbe inorridito davanti ad una simile lettura della sua vita. Questa frase può, invece, additarci un orizzonte molto positivo: ciascuno/a di noi, per quanto segnato dalla fragilità e dalle proprie personali incoerenze e contraddittorietà, può cercare il più possibile di "fare corpo" con la strada di Gesù, con il suo messaggio, con le sue scelte. Facendo così, ci dice l'evangelista, sapete che state cercando la volontà di Dio. Anche noi, se prenderemo sul serio la proposta di Gesù, non saremo mai lontani da ciò che Dio vuole perché per noi cristiani Gesù è il sicuro indicatore della volontà di Dio, anzi è "la via" che ci porta al Padre.

Davanti a tanti cartelli indicatori possiamo affidarci mente e cuore al'intramontabile "manifesto" di vita che è Gesù, alle pagine delle sue beatitudini.

Una vita su questa strada è feconda.

Vi raccomando di leggere una testimonianza di questa fecondità nel libro del vecchio teologo Hans Kung (Ciò che io credo, Rizzoli): la strada di Gesù non conduce mai ad un vicolo cieco, al non senso perché la sua direzione è l'amore concreto da vivere nelle relazioni di ogni giorno.