lunedì 7 giugno 2010

CRISI CHIESE

Riflessioni di Gentiloni (Il Manifesto), Zagrebelsky (la Repubblica), Maria Antonietta Calabrò (Corriere della sera)

 

Propaganda Fide, le case del Vaticano e la rete di Balducci
di Maria Antonietta Calabrò

Corriere della Sera 16 maggio 2010
È un destino che la storia di Propaganda Fide, sin dall’inizio si intrecci con una storia di immobili, di rivalità di architetti, di lavori edilizi. «Corrisponde medesimamente sulla detta piazza questo gran Collegio, il quale ebbe principio l'anno 1622 per provvedere ai bisogni e dilatazione della Fede Cattolica... fu eretto qui il collegio col disegno del Bernini... Fu dipoi terminata la fabbrica dal Borromini».
Ma
i tempi cambiano e da Bernini e Borromini siamo oggi al provveditore Angelo Balducci, che della Congregazione è stato consultore fino al 10 marzo scorso, e al costruttore Diego Anemone. Tutto il centro storico di Roma — al di là delle sedi extraterritoriali — conta vaste proprietà immobiliari del Vaticano che fanno capo sia alla Congregazione di Propaganda Fide sia all’Apsa, il patrimonio della Sede Apostolica. Ma è soprattutto Propaganda Fide a fare la parte del leone con proprietà di gran pregio che insistono nel quadrilatero più ambito del cuore della città e che secondo alcune stime è valutato (al netto delle recenti rivalutazioni del mercato) intorno ai 9 miliardi di euro. Due circostanze hanno messo «in moto» una «gestione» economica fino allora molto sonnolenta delle case, dei negozi (e altri esercizi commerciali che sono in affitto negli immobili della Congregazione) e dei palazzi: la fine del regime dell’equo canone e i lavori per il grande Giubileo del 2000. Ciò avviene quando Crescenzio Sepe, Segretario generale dell’Anno Santo, viene nominato Prefetto di Propaganda Fide, cioè «papa rosso»: rosso perché cardinale, e papa perché ha potere sulle terre di missione, in sostanza sulle Chiese dell´Africa e dell´Asia. Quanto agli immobili sono due le strategie perseguite dall’inizio del decennio. Primo: un certo numero di sfratti «per finita locazione» ai vecchi inquilini che abitavano in case che necessitavano di importanti opere di ristrutturazione. «Ci sono state anche delle cause intentate dagli inquilini contro gli sfratti», afferma Mario Staderini segretario dei Radicali italiani, «perché non sono avvenuti per morosità, a via Giulia, vicino piazza Farnese, vicino a Santa Maria Maggiore». C’è stata poi la messa a reddito con la collocazione, spesso a vip, degli immobili, magari dopo le ristrutturazioni effettuate delle aziende di Diego Anemone (che di molte case e palazzi di Propaganda ha gestito la manutenzione come ha diligentemente annotato nella sua lista). Del resto, numerosi palazzi di Propaganda Fide si «irradiano a raggiera» da piazza di Spagna per via di Propaganda, via della Vite, via Gregoriana, via Sistina, via Condotti, la salita di San Sebastianello, via Sant'Andrea delle Fratte, via della Mercede. Cesara Buonamici, conduttrice del Tg5 ha spiegato cosa è successo nel suo caso: «Sono affittuaria dell'appartamento in via della Vite dal 2003. L'appartamento è di proprietà di Propaganda Fide, pertanto i lavori di ristrutturazione non sono stati commissionati dalla sottoscritta, ma dall'ente, prima del mio ingresso». Stessa situazione per l'ex ragioniere generale dello Stato Andrea Monorchio che vive in via Sistina. Nel caso di Bruno Vespa (altro affittuario di Propaganda Fide) invece i lavori di ristrutturazione sono stati fatti direttamente da lui (e infatti il suo nome non compare nella lista di Anemone). Altri immobili sono stati venduti, come quello di via dei Prefetti, all’ex ministro Lunardi.
E’ un dato di fatto che con l’arrivo di papa Ratzinger Propaganda Fide abbia subìto una brusca virata. Nel 2006 è stato nominato «papa rosso» l’arcivescovo di Bombay, Ivan Dias, lontano dai «giri romani».

 

 

La religione del futuro per Hans Küng
di Filippo Gentiloni

Il manifesto 16 maggio 2010
In questi giorni anche da noi Hans Küng ha dominato il dibattito religioso: del suo ultimo libro «Ciò che credo» (Rizzoli) si è parlato un po' dappertutto. Un fatto che già la dice lunga sulla situazione del cattolicesimo nel nostro paese. Una situazione di forte presenza, ma anche di vivace discussione. Küng è un credente convinto che però fra i teologi cattolici è uno dei più critici (gli può fare compagnia, fra gli altri, Raimon Panikkar). I suoi attacchi alle posizioni vaticane non riguardano soltanto alcune questioni particolarmente discusse, come quelle che toccano il sesso, la salute, il sacerdozio. La critica di Küng va più a fondo e riguarda soprattutto il rapporto fra il cattolicesimo e le altre posizioni religiose. È in crisi soprattutto la pretesa cattolica di essere l'unica verità assoluta, relegando tutte le altre posizioni in una sorta di serie B.
«Sono e resto - afferma Küng - membro leale della mia Chiesa. Credo in Dio e nel suo Cristo, non credo tuttavia 'nella' Chiesa. Al suo interno rifiuto ogni tentativo di mettersi sullo stesso piano di Dio, ogni trionfalismo arrogante e ogni trionfalismo egoistico, resto aperto alla comunità della fede cristiana nella sua totalità, a tutte le Chiese».
Una posizione ecumenica, oggi largamente condivisa anche in campo cattolico. E ancora: «Io non spero in una unità delle religioni o in un sincretismo di qualche tipo. Spero in una pace ecumenica fra le religioni mondiali. (...) Io non rinuncio alla speranza. Questa è la mia visione: non c'è pace fra le nazioni senza la pace religiosa, non c'è pace religiosa senza dialogo fra le religioni».
E sul futuro: «Ha un futuro solo una religione che mostra il suo volto umano e benevolo, un volto invitante e non un viso dai tratti stravolti, che inducono disgusto». È questo il volto dell'odierno cattolicesimo? Il libro di Küng ci spinge a chiedercelo.

Zagrebelsky: “la Chiesa è contro la democrazia”
di Sara Strippoli

La Repubblica 16 maggio 2010
Applausi, interventi attivi del pubblico, qualche risata di alleggerimento per un tema corposo, intenso. E di certo non facile. Ma il pubblico al Salone del Libro non teme di confrontarsi con gli argomenti più ostici, ha ricordato Ernesto Ferrero, e nella Sala Gialla - tutta esaurita ieri all´ora del pranzo per il dibattito sulla laicità dal quale parte l´appello degli editori contro la legge sulle intercettazioni - gli spettatori hanno ascoltato non lesinando commenti di critica o di assenso. Un dibattito moderato dal direttore di Repubblica Ezio Mauro, durante il quale una brillante Rosy Bindi e un pungente Gustavo Zagrebelsky si sono incontrati-scontrati in un duetto stimolante evidenziando posizioni comuni e divergenze profonde. «Si è parlato fin troppo di laicità - dice il costituzionalista che manda in libreria l´ultimo suo saggio dal titolo Scambiarsi la veste Stato e chiesa al governo dell´uomo - due categorie che non coincidono necessariamente con quelle di credenti e non credenti. I laici sono coloro che antepongono alle verità dogmatiche la propria coscienza, i non laici sono coloro che post-pongono la loro coscienza ad un diktat che ritengono
superiore». Non può esistere laicità quando la religione o le religioni ingeriscono negli affari dello Stato o quando lo Stato ingerisce nelle questioni, spiega Zagrebelsky: «La democrazia è il luogo dove dovrebbero esserci discussione e rispetto reciproci, senza condizionamenti esterni, ma la storia ha dimostrato che la Chiesa è sempre stata contro la democrazia». Critica nei confronti della Chiesa, ma insistente sulla necessità di un dialogo da non interrompere mai fra laici e cattolici, la presidente del partito democratico non ha difficoltà ad ammettere che «il peccato più grande che può commettere un credente è quello di pensare di possedere la verità, che è invece indispensabile ricercare continuamente. Il pensiero laico non deve però temere quello religioso per non cadere nel relativismo». Le reazioni si sono fatte sentire in sala quando Zagrebelsky ha ricordato le questioni concrete dell´8 per mille, i beni della Chiesa, la valutazione dell´ora di religione a scuola: «Il problema è che i cattolici democratici come Rosy Bindi dovrebbero farsi sentire, alzare la loro voce», è stato il suo appello accolto dagli applausi del pubblico della Sala Gialla. Non so quanti cardinali chiamino i parlamentari quando è ora di approvare una legge, è la replica secca di Bindi «e se così non fosse forse adesso i Dico oggi sarebbero approvati, ma è la politica a usare la Chiesa in modo improprio», insiste la presidente del Pd che questa volta incassa qualche commento critico dal pubblico della Sala Gialla. Tocca a Ezio Mauro trovare la sintesi finale: «L´alleanza della Chiesa è con il paganizzatore del nostro Paese, mentre mi augurerei che oggi la Chiesa fosse alleata della laicità». Fondamentale il peso della cultura dei cattolici nello Stato, ammette Mauro, «anche se speravo che, essendo quello di papa Ratzinger un pensiero forte, si potesse sottrarre più facilmente alle convenienze politiche del momento. Un fatto che purtroppo non è accaduto».