Al posto del consueto commento biblico, questa settimana voglio riflettere su un fatto di "cronaca ecclesiale" che merita una sottolineatura.
Nella periferia nord di Livorno è molto nota la parrocchia di San Pio X.
Da meno di due anni in questa vastissima parrocchia era giunto Don Cristian Leonardelli, un prete di 36 anni che aveva avuto notevoli difficoltà dal vescovo di Trento e venne poi consacrato al ministero a Livorno nel 2008.
Meno di un anno fa ero stato da lui invitato per un incontro su "La famiglia e le famiglie nella comunità cristiana". Maria e Ugo e Dario e Cristiano avevano parlato del loro cammino di credenti in due modalità diverse di famiglia.
D'accordo con il parroco, avevamo dialogato a lungo in assemblea con grande serenità dei parrocchiani e poi avevamo celebrato l'eucarestia.
Da dieci anni, da quando era studente di Teologia, conosco bene don Cristian di cui ho sempre constatato l'intelligenza, la dedizione al Vangelo, la disponibilità e il coraggio.
Ricordo i nostri incontri a Cles e a Pinerolo, momenti di scambio.
A Trento Cristian era ed è stimato da un bel numero di laici e di preti che hanno sempre solidarizzato con lui.
Ricordo che, dopo l'ultimo nostro incontro a Livorno, ebbi a temere per don Cristian.
Lo vidi "imprudente", cioè evangelicamente radicale e deciso, umile, mite e lucido.
Facendomi per una volta cattivo consigliere, gli dissi: "Non ti esponi troppo? Non vai troppo veloce?"
Mi guardò e, con un sorriso semplice e consapevole, mi rispose: "Posso perdere tutto...... ma nessuno mi può portare via la libertà e la fede in Dio".
Quell'imprudenza, che ritengo essere l'elemento centrale per la sequela di Gesù e per un ministro della comunità, ormai gli era connaturale.
Pregai a lungo quella sera per lui.
ORA
Ora mi giunge la notizia che il vescovo lo ha estromesso dalla parrocchia e lo ha trasferito a Castiglioncello, un paese sul litorale, rimpiazzandolo con un prete polacco del movimento dei catecumenali.
I parrocchiani, con una lettera di mille firme, si sono opposti ma il vescovo, con stile dittatoriale, non ha voluto sentire ragioni.
Riporto dall'agenzia Adista:
La lettera dei parrocchiani di S. Pio X si sofferma in particolare sulle difficoltà sociali del rione e sulle risposte date da don Cristian alle esigenze di quel difficile territorio: più del 15% dei residenti, scrivono infatti al vescovo, non ha un titolo di istruzione, forte è il disagio sociale, alta la disoccupazione, mentre cresce l'esercito di immigrati e poveri ("anche intere famiglie, non solo stranieri ma anche italiani").
Di fronte a questi problemi, l'arrivo di don Cristian Leonardelli aveva portato alla creazione di un "progetto di integrazione e miglioramento culturale", nel solco della pedagogia di don Milani, con la collaborazione della scuola elementare Thouar e della scuola media Michelangelo, progetto che avrebbe dovuto estendersi l'anno venturo alle scuole di tutto il territorio.
Era inoltre nato un gruppo estivo destinato ai ragazzi dai 7 ai 14 anni: un modo per aiutare i tanti genitori del quartiere che lavorano.
Poi l'attività della Caritas parrocchiale; ma, soprattutto, la capacità di "infondere coscienza critica e responsabilizzare gli adulti, i ragazzi, gli uomini, le donne ed intere famiglie all'aiuto reciproco e alla realizzazione di progetti solidali".
"Chi porterà avanti tutti questi progetti intrapresi con tanta sollecitudine ed impegno?", si chiedono preoccupati i parrocchiani di S. Pio X.
"Dobbiamo temere che con il suo trasferimento andrà tutto a morire? Temiamo di sì. Temiamo che si ritorni indietro.".
Nonostante la forte mobilitazione, finora Mons. Giusti non ha voluto sentire ragioni, rifiutando qualsiasi incontro con la comunità di S. Pio X.
"Siamo indignati - raccontano ad Adista un gruppo di parrocchiani di S. Pio X - dal fatto che non solo il Vescovo non ha tenuto conto delle necessità della nostra Comunità, degli impegni assorti dal suo predecessore con la medesima, ma anche dal fatto che non si è neppure degnato di darci delle spiegazioni, di avere un confronto con tutti noi, nonostante gli siano giunti un invito a partecipare ad un'assemblea parrocchiale e diverse missive, prima del preannunciato trasferimento, alle quali a tutt'oggi non ha ancora risposto".
"Allora ci domandiamo: quale deve essere la qualità del rapporto tra ministero e comunità? Deve essere un rapporto "verticale ed individualistico" il cui unico scopo è la cura delle anime in un ottica di Salus animarum? Oppure deve valorizzare la dimensione comunionale sia dell'ecclesia sia del presbiterio?".
Al di là del caso particolare, come ha scritto in una sua lettera a mons. Giusti un'altra parrocchiana, MARISTELLA UGAZZI, resta il problema di fondo "della gestione del potere da parte della gerarchia, che leva e mette presbiteri come ritiene opportuno, passando non solo sulle loro teste, ma anche sulla testa dei laici che del popolo di Dio sono parte integrante e non sudditi di serie B". (valerio gigante)
DUNQUE
Se il Vangelo è appello alla libertà, la gerarchia è repressione.
Caro lettore, cara lettrice, raccogliamo la lezione di don Cristian, scriviamogli la nostra solidarietà, ricordiamolo nella preghiera.
Se sei un prete o un cristiano adulto scrivi la tua protesta al vescovo di Livorno e abituati a non accettare l'autoritarismo dei vescovi e degli ecclesiastici in genere.
E' tempo di obbedire al Vangelo e, quindi, di attingere il coraggio di rifiutare ogni imperialismo.
Don Cristian non mollerà. Lo sostiene la sua fiducia in Dio, la sua decisione di condividere il precario cammino dei più deboli.
Ognuno di noi deve fare la sua piccola parte perchè crescano le voci profetiche nella chiesa e nel mondo.
Impariamo da Don Cristian un pò di imprudenza evangelica perchè troppo vasta e diffusa è la "chiesa del silenzio".