giovedì 19 agosto 2010

DIALOGO E PROFEZIA AL SINODO VALDESE

Anagrammando

Ho cercato di leggere con attenzione l'Appello al Sinodo per la fedeltà alla nostra Confessione di fede e ho riflettuto se fosse opportuno che vi replicassi: considerato il fatto che il mio nome vi figura espressamente ho infine rotto gli indugi, decidendo di redigere questa risposta. Voglio precisare sin d'ora che non ho alcuna intenzione di scadere nella polemica, atteggiamento che ritengo inadeguato ed infruttuoso: mi preme, soltanto, affrontare nel merito le questioni rispetto alle quali gli estensori di tale documento hanno ritenuto che le mie affermazioni o i miei atti si siano rivelati impropri. Le obiezioni mossemi riguardano, nello specifico, due tematiche che, nella mia replica, vorrei in un primo momento scindere, per poi provare ad esprimere la mia opinione circa il perché esse vengano menzionate insieme. La tesi di fondo degli estensori del documento è quella secondo cui, nelle mie esternazioni teologiche così come nella mia prassi liturgica, io abbia contravvenuto alle indicazioni contenute nella nostra Confessione di Fede del 1655 (confessione che, in quanto pastore, ho firmato immediatamente prima della mia consacrazione al ministero) e, quel che è più grave, alle Scritture alle quali tale Confessione si richiama espressamente e delle quali, si ritiene, io mi sono indebitamente «fatto scudo» per portare avanti quella che, in verità, altro non è se non una «interpretazione personale» delle medesime.

·                                 La prima obiezione menzionata dal documento è di tipo dottrinale e riguarda la mia elaborazione (senza alcun dubbio limitata) della questione trinitaria e della correlata divinità di Gesù. A tale riguardo questo giornale ha già ospitato un dibattito che ho trovato assai serio e pacato, concedendomi, tra l'altro, lo spazio generoso di due repliche, alle quali rimando per evitare di ripetermi e, così facendo, di tediare oltremodo le lettrici ed i lettori. Tale dibattito si è chiuso con un intervento, eccellente per profondità ed acume, del professor Ferrario: le sue parole costituiscono l'esempio di un dissenso argomentato ed estremamente rispettoso dell'interlocutore. Caratteristiche che, invece, mi pare non pervadano lo spirito dell'Appello, nei cui toni intravedo più una condanna delle mie affermazioni (peraltro, come già ricordato dal direttore di Riforma, non correttamente riportate) che non un invito al dialogo e, a partire da esso, ad un eventuale approfondimento nella trattazione di questa (complessa) tematica. Per cui, ben venga una discussione, ampia e documentata; ma vorrei che si evitassero, dall'una come dall'altra parte, velate scomuniche o espliciti anatemi: non credo, difatti, che tale atteggiamento possa contribuire in alcun modo a instaurare quello spirito di fraternità a cui più volte il documento si richiama, giacché, per quanto mi riguarda, la fraternità si costruisce mediante il confronto, nel quale ciò che ha valore sono le argomentazioni che si portano a suffragio di una tesi, nel rispetto della (ma non in ossequio alla) tradizione e della sua evoluzione storica, che possono anche (e in alcuni casi devono) essere esaminate, discusse e reinterpretate.

·                                 La seconda obiezione rivoltami concerne l'aspetto disciplinare giacché, nella benedizione da me concelebrata di una coppia omosessuale, vengono ravvisati un'esplicita violazione degli ordinamenti stanti a fondamento della nostra prassi ecclesiale e, quel che è più grave, uno stravolgimento delle indicazioni che, a tale proposito, forniscono i testi biblici (in particolare Levitico 18). Anche a questo riguardo, eccettuata l'imprecisione con cui, nuovamente, le mie parole vengono riportate dagli estensori dell'Appello, rimando le lettrici ed i lettori alla lettera inviata a Riforma dal Consiglio di Chiesa di Trapani e Marsala, nella quale sono già contenute le motivazioni che ci hanno portati ad esprimere, circa tale benedizione, un sì pieno e convinto. Ciò che fatico a comprendere è come i redattori del documento intendano manifestare uno spirito di accoglienza nei riguardi delle persone e delle coppie omoaffettive, salvo poi considerare l'omosessualità alla stessa stregua, cito, dell'«accoppiamento con animali». Un simile accostamento non merita nemmeno una replica, a tal punto esso denota assoluta mancanza di rispetto. A tale proposito intendo chiarire perché ho affermato che, su alcune questioni, una rottura con il fondamentalismo cristiano, di qualsiasi natura esso sia, è non soltanto possibile ma persino inevitabile: perché laddove manca il rispetto della persona umana e dei suoi diritti inalienabili (tra i quali rientra a pieno titolo l'orientamento affettivo e sessuale), nessun dialogo, dal canto mio, è praticabile. I termini fratello e sorella, aggiungo, non dovrebbero avere, in primo luogo, una connotazione ecclesiastica, che rischia sempre di sconfinare nel settarismo: sorelle e fratelli sono le donne e gli uomini che ci è dato di incontrare lungo gli intricati sentieri dell'esperienza e una chiesa che intenda orientare la propria prassi all'evangelo dovrebbe riservare un'attenzione costante a coloro che, ingiustamente, vengono discriminati, talvolta all'interno degli stessi contesti ecclesiastici. Personalmente credo in una chiesa dell'accoglienza, capace di convertirsi prima che di convertire.

·                                 Un'ultima osservazione circa l'accostamento, all'apparenza piuttosto singolare, delle due obiezioni rivoltemi: ho motivo di ritenere, in ultima analisi, che esse sottendano un concetto di chiesa secondo cui ogni dissenso, seppur motivato, vada appianato mediante un'omologazione indebitamente confusa con l'appartenenza identitaria. Ciò che viene richiesto, o, per meglio dire, comandato, è un appiattimento su un'interpretazione univoca dei testi e della loro funzione normativa. Ma c'è uno spirito, che informa questi testi, che travalica il loro letteralismo e, talvolta, giunge a contraddirlo esplicitamente. Non so se gli estensori del documento siano appassionati di anagrammi, ma vorrei proporne uno assai curioso alla loro riflessione. Alcuni, citando la verità, vi leggono immediatamente e senza esitazione l'espressione rivelata; ma è bene che non tralascino di considerare che, con gli stessi caratteri, è anche possibile scrivere -e, va da sé, leggere- relativa.

 Alessandro Esposito - 19 agosto 2010

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