sabato 29 gennaio 2011

L'ICONOCLASTIA

 La teologia deve rendere conto contemporaneamente della vicinanza di Dio e della sua distanza, della sua incarnazione e della sua trascendenza, della sua parentela (“Noi siamo anche sua progenie” dice Paolo ad Atene; At. 17,28) e della sua alterità. Se si eliminano gli antropomorfismi, un polo scompare. Se non li si relativizza, l’altro polo si dissolve. Bisogna contemporaneamente servirsi di antropomorfismi e criticarli. Non si può fare a meno di immagini per percepire l’invisibile; tuttavia, esse non vanno confuse con la realtà che illustrano, giacché la evocano, ma non la rappresentano. Le immagini sono necessarie; senza di loro non si vedrebbe nulla. Però forniscono un buon servizio soltanto se, mentre si utilizzano, si strappano; altrimenti le icone si trasformano in idoli. L’iconoclastia non elimina le immagini e non pretende di farne a meno: le usa strappandole o rompendole. L’Islam ne dà un esempio. Nei meravigliosi ornamenti delle moschee, che evocano la grandezza, la sapienza e la bellezza divine, l’artista introduce da qualche parte un difetto, una svista, perché ciò che manifesta la perfezione divina non possa pretendere la perfezione. Ci si dà una forma ( senza la quale non vi sarebbe percezione della verità), pur segnandone il limite e l’insufficienza (senza la quale la verità diventerebbe superstizione).

(André Gounelle, Parlare di Dio, Claudiana 2006, p.75)