Giovanni cap. 10, vs. 1 - 21
[1]«In verità, in verità vi dico: chi non entra nel recinto delle pecore per la porta, ma vi sale da un'altra parte, è un ladro e un brigante. [2]Chi invece entra per la porta, è il pastore delle pecore. [3]Il guardiano gli apre e le pecore ascoltano la sua voce: egli chiama le sue pecore una per una e le conduce fuori. [4]E quando ha condotto fuori tutte le sue pecore, cammina innanzi a loro, e le pecore lo seguono, perché conoscono la sua voce. [5]Un estraneo invece non lo seguiranno, ma fuggiranno via da lui, perché non conoscono la voce degli estranei». [6]Questa similitudine disse loro Gesù; ma essi non capirono che cosa significava ciò che diceva loro.
[7]Allora Gesù disse loro di nuovo: «In verità, in verità vi dico: io sono la porta delle pecore. [8]Tutti coloro che sono venuti prima di me, sono ladri e briganti; ma le pecore non li hanno ascoltati. [9]Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvo; entrerà e uscirà e troverà pascolo. [10]Il ladro non viene se non per rubare, uccidere e distruggere; io sono venuto perché abbiano la vita e l'abbiano in abbondanza. [11]Io sono il buon pastore. Il buon pastore offre la vita per le pecore. [12]Il mercenario invece, che non è pastore e al quale le pecore non appartengono, vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge e il lupo le rapisce e le disperde; [13]egli è un mercenario e non gli importa delle pecore. [14]Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, [15]come il Padre conosce me e io conosco il Padre; e offro la vita per le pecore. [16]E ho altre pecore che non sono di quest'ovile; anche queste io devo condurre; ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge e un solo pastore. [17]Per questo il Padre mi ama: perché io offro la mia vita, per poi riprenderla di nuovo. [18]Nessuno me la toglie, ma la offro da me stesso, poiché ho il potere di offrirla e il potere di riprenderla di nuovo. Questo comando ho ricevuto dal Padre mio».
[19]Sorse di nuovo dissenso tra i Giudei per queste parole. [20]Molti di essi dicevano: «Ha un demonio ed è fuori di sé; perché lo state ad ascoltare?». [21]Altri invece dicevano: «Queste parole non sono di un indemoniato; può forse un demonio aprire gli occhi dei ciechi?».
Questa pagina, letta dall'interno del panorama delle nostre città, ci porta a quello scenario distensivo dei verdi prati, al belare delle pecore, allo sgambettìo veloce degli agnellini.............
Nelle nostre valli alpine proprio in queste settimane le greggi salgono agli alpeggi.
Il loro passaggio, con lo scampanìo che li accompagna, suscita emozioni magiche in chi ha la mia età..........
Ma questa parabola o paroimia (quasi equivalente a ciò che i Vangeli sinottici chiamano parabola) può parlarci solo se la leggiamo nel suo contesto di società agricolo pastorale.
Inoltre il legame del pastore "bello", nobile, onesto e generoso (si noti che il testo greco scrive "Kalòs" non "agathòs" = buono) indica affetto, cura, premura, quasi una relazione personale con ogni pecora, decisione nella difesa davanti al pericolo, capacità e coraggio nell'individuare e aprire il sentiero.
Quando l'ultimo redattore del Vangelo di Giovanni (95 - 105 dopo Cristo) traccia questa bella icona del Nazareno non ha la preoccupazione di riportarci un "discorso" di Gesù. Egli piuttosto ripropone una densa "meditazione" che nella sua comunità era maturata nel tempo: Gesù era stato davvero un pastore buono, amorevole, che si era preso cura delle pecore deboli.
La Comunità di Giovanni pensava a Gesù con questo immaginario affettivo davvero efficace. Siccome già all'interno della Comunità c'erano alcuni che cominciavano a farla da padroni, a voler prevalere e "ambivano il primo posto" (3a lettera di Giovanni) dimenticando l'esempio del Maestro che si era fatto "servo" di tutti, Giovanni colloca in grande evidenza due passi stupendi. Il primo è la lavanda dei piedi (Giovanni 13) e il secondo è la parabola del Buon Pastore . Si tratta di due pagine di forte sapore polemico e di genuina correzione fraterna.
Come riportare la Comunità e principalmente coloro che in essa svolgono un ministero sulla strada del Vangelo?
OGGI
Oggi molte chiese cristiane chiamano "Pastore" "Pastora" la persona che viene consacrata alla cura e al servizio pastorale della comunità volendo così assicurare alla comunità stessa un ministero autorevole e suscitatore di corresponsabilità. Tale ministero, rettamente inteso, ha esattamente il compito di animare la crescita della "Comunità corresponsabile", come vedo avvenire nelle chiese valdesi che conosco.
Ma è ovvio che sempre può succedere di accomodarsi all'ombra di un pastore e allora si affievolisce o si estingue il senso di comunità, la pratica comunitaria.
Ma oggi, nella chiesa cattolica, si è diffuso un clima, anzi uno stile secondo il quale la gerarchia (che ama definirsi "i sacri pastori") non tiene in alcun conto la dimensione fraterna - sororale di uguaglianza e di corresponsabilità.
Anzi la ostacola e la nega, in aperta contraddizione anche con il Concilio Vaticano secondo.
Questo stile, che cerca in modo fraudolento legittimazione nelle Scritture mediante l'esplorazione di alcuni versetti biblici, conferma un modello feudale che blocca la possibilità di leggere la testimonianza della Scrittura tenendo conto delle acquisizioni del nostro tempo.
La realtà è sotto gli occhi di tutti noi: questi "sacri pastori" vogliono solo pecore belanti e non hanno compiuto il passaggio dall'immaginario del gregge a quello del popolo di Dio, assemblea dei liberi figli e figlie di Dio.
L'ALTRO VERSANTE
E' giusto e doveroso denunciare l'operato di questi "gestori del sacro", che pervertono il senso genuino del loro ministero e della "cura pastorale reciproca (anche i ministri e le ministre hanno bisogno di cura e di correzione, ma oggi occorre anche guardare l'altra faccia della medaglia).
Troppi cristiani hanno rinunciato ad assumere la loro responsabilità, tacciono, si allineano, lasciano correre, hanno paura di opporsi, di disobbedire, di motivare e dichiarare pubblicamente il loro dissenso.
Non ci si può sempre trincerare dietro al fatto che "non ci hanno aiutati ed educati a dire la nostra". Occorre crescere.
Una chiesa gregge è purtroppo la squallida realtà che in questi ultimi decenni è cresciuta determinando un impressionante vuoto di idee.
E' tempo di uscire dalle lamentele, dalle lagne di sacrestia, dal piagnucolio sul non senso della predicazione e di tutto il devozionalismo che ha soppiantato la lettura del Vangelo.
E' tempo che noi preti usciamo dalle predicazioni che sono il frutto di un premasticato patriarcale, medioevale, sacrale. Le comunità debbono insorgere là dove si organizzano viaggi e pellegrinaggi, ma non esiste un corso continuativo di lettura biblica, dove non si presentano gli studi e le ricerche che oggi sono ampiamente diffusi e reperibili, ma vanno segnalati.
Se in fondo alla chiesa trovi solo le lettere del vescovo, il bollettino parrocchiale, il libro del papa e l'avviso del prossimo pellegrinaggio, è chiaro che manca l'ossigeno, mancano le proposte che "provocano" al rinnovamento e c'è solo puzza di stantìo.
Ma un uomo ed una donna adulti, un catechista...... debbono resistere a viso aperto dove regna questo silenzio di morte teologica che poi spesso è coperto da tanto attivismo, dalla festa patronale e cose simili a getto continuo.
Chi governa questa Italia e chi "fa l'imperatore - papa" di questa chiesa hanno bisogno di capire che noi non siamo nè servi nè sudditi. Abbiamo nella società e nella chiesa una responsabilità personale e collettiva. Ne va della nostra vocazione cristiana.
Da giovane prete composi uno scritto: "Senza chiedere permesso". Sì, il soffio di Dio, il Suo Spirito ci aiuta a uscire dal gregge, a dire la nostra, a diventare consapevoli che Dio ha bisogno anche di ciascuno/a di noi per fare della chiesa una casa viva, non una prigione, un dormitorio o una platea che applaude un povero uomo come noi paludato di sacro.
PREGHIERA
O Dio,
non posso gettare sugli altri le responsabilità che sono mie, che sono parte della mia vita di cittadino e di cristiano.
Aiutami a crescere, a non delegare, ad essere insieme umile ed audace.
Aiuitaci a non spegnere la Tua fiamma di verità e di amore, a non soffocare nessuna voce, piccola o grande.
Aiutaci a fare della nostra chiesa un'assemblea di voci libere e diverse perchè possano vivere tante testimonianze nella nostra vita quotidiana
Donaci di lavorare per una chiesa dove le differenze diventino ricchezza e non esclusione reciproca.
Meglio una voce stonata che una bocca chiusa.
FRANCO