M "i voeuri turnà a caa mia", voglio tornare a casa mia. Questa frase in milanese è un moto spontaneo che mi è affiorato ripetutamente alle labbra e al cuore da che le elezioni per il Sindaco di Milano sono entrate nella loro fase cruciale. Non ho mai aspirato ad avere una patria, ma ho avuto un Paese, l’Italia e una casa, Milano.
In questa casa ci sono arrivato come piccolo profugo quasi sessantadue anni fa. La conosco bene, le “appartengo”. Ma da che è arrivata la “Milano da bere” è stato come se una nube tossica fosse scesa sulla Milano in cui mi riconoscevo, la Milano della sua anima antifascista, la Milano della sua mitica classe operaia, della borghesia colta ed illuminata, della sua specialissima Curia, della sua "gent dal coeur in man", solidale, dei suoi esemplari sindaci socialisti. Le città naturalmente si trasformano, è ineluttabile, ma le modalità del cambiamento dipendono dalle scelte di chi le amministra. La grande Milano non si era dissolta, ma si era ritratta sotto la battente pioggia acida e grassa del berlusconismo, del leghismo, del socialismo tradito, della volgarità, della rampante corruttela malavitosa.
La città è stata espropriata a se stessa. In questo marasma, la Curia ha tenuto, vi sono state dovunque aree di resistenza, certo, ma come cittadini eravamo sempre più depressi. Oggi no! L’aria è nuova, l’energia è rifiorita, abbiamo Pisapia, un candidato vero, credibile, un galantuomo, serio e appassionato. L’intera opposizione lo sostiene con piena convinzione ed entusiasmo. Ce la possiamo fare. Ce la dobbiamo fare per noi e per l’Italia. "E mi, adess, podi turnà a caa mia". Adesso posso tornare a casa mia.
(Moni Ovadia)