domenica 28 agosto 2011

RÈGIS DEBRAY: PRIMA PARTE

Règis Debray era nella città di Calvino nel marzo scorso, invitato dalla Compagnia dei pastori e dei diaconi della Chiesa protestante di Ginevra. È stata l’occasione di fare il punto sullo stato di salute del sentimento religioso in Europa e di scoprire alcune chiavi dei suoi ultimi libri, “Le moment fraternità” e “Eloge des frontières”.

 Riporto qui alcuni passaggi di una lunga intervista comparsa su Riforma del 19 agosto a cura di Emmanuel Rolland:

 – Com’è nato il suo interesse per il fatto religioso?

«Se ho seguito a lungo il socialismo rivoluzionario che è, come tutti i millenarismi, un’idea cristiana diventata pazza, ho anche constatato la straordinaria perennità del fatto religioso nello spazio e nel tempo. E mi sono chiesto: che cosa porta la gente e i popoli a credere? Non solo a credere ma a formare comunità? E così, a poco a poco, sono risalito alla sorgente, all’Antico Testamento, al cristianesimo, in un processo, se vuole, di regressione riflessiva».

– E che cosa ha imparato?

«La mia prima scoperta in America latina è che c’è l’altro, altre culture, abitudini di vita alle quali sono estraneo. Tutte queste culture sono arcaiche, ancestrali, di una profondità di tempo considerevole e sono sempre lì. Dunque l’idea molto da XIX secolo secondo la quale quando si apre una scuola si chiude una chiesa, ovvero che la credenza si dissolve nel razionalismo, è un’idea falsa.

C’è invece una permanenza del religioso che bisogna cercare di capire. Tutto ciò pone delle domande, tanto più quando si proviene, come me, da un ambiente ateo in cui la religione è considerata l’oppio del popolo, una forza reazionaria e conservatrice. Scopro che essa è anche la vitamina del debole, una forza attiva di proposta, e che la religione può portare la gente a resistere all’oppressione».

– La credenza non si dissolve nel razionalismo, dice. Ma la religione si dissolve nella secolarizzazione?

«Non ho mai creduto alla tesi della secolarizzazione intesa come scomparsa del religioso. Ci può essere trapianto del religioso, non scomparsa. Una società, anche se si crede irreligiosa, ha bisogno di totem, di dei al tempo stesso evocatori e riparatori e di luoghi dove si fa silenzio, dove ci si raccoglie e dove ci si toglie il cappello, un luogo e un momento in cui non si ride».