venerdì 24 febbraio 2012

COMMENTO ALLA LETTURA BIBLICA

NON SIAMO FIGLI E FIGLIE DI EROI

(Marco 1,12 – 15)

Alla scuola del Battista, Gesù ha maturato la consapevolezza di dover impegnare tutte le sue forze a servizio del "regno di Dio", alla causa dei poveri e alla testimonianza di una fede liberata dagli orpelli sacerdotali e legalisti.
Era cresciuto da ebreo pio ed osservante, ma già a Nazaret aveva cominciato a constatare quanto il messaggio profetico del Dio amico dei deboli fosse stato oscurato e spesso tradito. Alla sinagoga del villaggio aveva ascoltato e riposto nel cuore le parole infuocate, audaci e provocatorie dei profeti.
L'incontro e la frequentazione del Battista avevano nutrito quella fiamma che era diventata un fuoco incontenibile.
E ora gli giungeva la notizia dell'arresto del suo amatissimo maestro. Ogni indugio gli sembrava ormai incompatibile con ciò che agitava il suo cuore.
Mentre Luca e Matteo ci narrano la sequela delle "tentazioni", Marco in poche righe ci tratteggia l'inoltro di Gesù nel deserto e il suo successivo passaggio nei villaggi.

Eccolo nel deserto
Nella Bibbia che Gesù aveva ascoltato in famiglia, da papà Giuseppe e dalla mamma Maria, il deserto designava un tempo di prova, di concentrazione sull'essenziale, di preparazione ad una missione impegnativa, di intimo contatto con Dio.
E Gesù, appartatosi, non poté non sentire quanto fosse rischioso continuare la strada del Battista, quanti "satana" e quante "fiere" avrebbe potuto trovare sul suo cammino. Gesù sapeva bene quanta "fortuna" avessero incontrato i profeti, quanta sordità ed opposizione avrebbe trovato anche lui ...
Ma nel deserto, cioè nella solitudine, Gesù prepara spazio nel suo cuore alle situazioni e alle persone che incontrerà. Un  cuore ingombro di cose, pieno di sé, di certezze e di dogmi, non ha posto per altri. Aveva conosciuto troppi maestri che non sapevano ascoltare e vendevano per volontà di Dio regole umane, tradizioni, interessi di casta. Invece aveva ben presenti le figure dei profeti e dei sapienti di Israele. Per Gesù i veri "maestri" erano come i profeti e i saggi: coinvolti nella vita del popolo, capaci di ascoltare, di imparare, di riconsiderare, di camminare con "gli umili del paese", di vivere in prima persona le asperità, le gioie, i dubbi e le ristrettezze della "gente di strada".
Il "deserto" in qualche modo fu la preparazione immediata, la messa a punto del suo progetto di predicatore itinerante.

Dove troverà la forza?
Certamente Gesù non era un ingenuo o uno spirito eroico che potesse sentirsi un gigante, una persona capace di affrontare qualsiasi opposizione o difficoltà senza tentennamenti, cedimenti, battute d'arresto.
Sapeva bene come lo avrebbero osteggiato i benpensanti e quanta solitudine a tratti lo aspettasse. Certamente la domanda si sarà proposta con estrema lucidità:"Dove troverò le forze per questo cammino"?
Più e più volte Gesù, come tutti i Vangeli ci ricordano, lascerà i discepoli e le folle per ritirarsi a pregare in luogo appartato. Come avevano risposto a questa domanda i profeti, Ester, Giuditta, la madre dei maccabei e tanti altri ebrei nei periodi di schiavitù e di deportazione? Come avevano fatto Scifra e Pua a dire di no al faraone? E Daniele come aveva fatto a non tradire davanti alla fornace ardente?
Dove Abramo aveva trovato la forza per partire e come aveva Mosé sopportato le delusioni del viaggio?
Gesù conosceva molti di questi "racconti di fede" che passavano di bocca in bocca, da cuore a cuore. Erano gli anziani a trasmettere queste "storie di vita e di fede". Le aveva "stampate" nel suo cuore. La risposta era sempre stata la stessa: noi non siamo né eroi né figli di eroi. Siamo un popolo che ripone fiducia nel Dio della libertà. Dobbiamo fare affidamento su di Lui, attingere da Lui la forza per il nostro cammino.
Questo insegnamento, pur tradito e spesso travisato nelle mille contraddizioni della religione ufficiale, era il succo, il centro, il cuore della fede del suo popolo. Lo apprese in famiglia, alla sinagoga, nel dialogo con la gente del villaggio.
Gesù partì con questa fiducia nella "compagnia" di Dio e gettò la sua vita nella direzione dei villaggi ove vivevano le persone più oppresse e anche più disponibili al messaggio di cambiamento e di conversione.

E noi?
Certo, la "compagnia" di Dio non è affatto un certificato di garanzia contro gli infortuni. Dio non ha liberato Gesù dai pericoli, dall'insuccesso, dalle ostilità e dalla croce, ma lo ha sorretto, gli ha dato luce e forza per il suo cammino di profeta dei poveri.
Nessuna illusione: Dio non ci toglie i sassi che incontriamo lungo il viaggio della vita. Semmai ci aiuta a vederli, ad affrontarli. E' la compagnia discreta, l'acqua della sorgente. Poi tocca a noi, in prima persona, vivere le nostre responsabilità e compiere le nostre scelte.
Credo che questa dimensione della radicale fiducia in Dio sia il pilastro che ha sorretto la vita quotidiana di Gesù.
Noi leggiamo le Scritture, celebriamo l'eucarestia e coltiviamo la preghiera personale e spazi di silenzio proprio per riscoprire che il pozzo non è vuoto, la sorgente ci disseta ancora, il fuoco arde e noi possiamo riscaldarci alla Sua fiamma.
Ancora una volta siamo invitati/e a guardare a Gesù come maestro della nostra fede. Egli ha congiunto nella sua quotidianità una totale fiducia in Dio e una matura assunzione delle proprie responsabilità personali.

Ti prego
Insegnami, o Dio,
a concentrarmi sull'essenziale.
Anch'io, piccola creatura,
posso gettare semi di giustizia
nella terra del quotidiano.
Dentro e oltre le oscurità
che sembrano bloccare ogni sogno,
insegnami a vedere
i raggi del sole
che si fanno strada
verso di noi.