lunedì 27 febbraio 2012

“Così si ingannano le donne”

L'ex pm Calcagno: rischio di gravidanze "vendute"
«Una decisione che, se confermata, mi pare sconvolgente. E per certi aspetti perfino fraudolenta, in quanto si presta a fuorviare la volontà delle persone, a fornire loro rassicurazioni ingannevoli». Graziana Calcagno, a lungo alla guida della Procura per i minori di Torino, soppesa bene le parole: da magistrato che ha visto passare sotto i suoi occhi decine di casi dolorosi, di abbandoni o di liti in famiglia, sa bene quanto sia sottile e decisivo insieme il confine che separa un bambino desiderato da un altro non voluto.
Dottoressa Calcagno, in che modo la decisione di versare un assegno mensile alle donne che decidono di non abortire si intreccia alla legge 194 che rende possibile l'interruzione volontaria della gravidanza?
«Questo emendamento stravolge lo spirito della legge, che parla espressamente di maternità e paternità consapevoli. E' obbligo di chi riceve una donna che vuole interrompere la gravidanza, sia esso il medico di base o il consultorio familiare, far emergere le ragioni che l'hanno spinta alla sua decisione, ascoltando eventualmente anche il padre del concepito. E di cercare di rimuoverle. Se una signora si rivolge al suo medico e dice "non posso avere questo bambino perché non ho soldi, ma lo vorrei", quella donna ha già diritto a ricevere assistenza dai servizi sociali. E' avvilente pensare che una somma in denaro, specie se piccola, ma anche là dove fosse grande, possa far cambiare idea su una cosa tanto importante».
Ma se la ragione per scegliere l'aborto è la mancanza di denaro, offrire quel denaro non è un'opportunità in più?
«Credo che l'aiuto che le istituzioni dovrebbero dare sia ben altro: asili nido, incentivi alle mamme disposte ad accudire anche qualche altro bimbo, sostegno complessivo alla donna, alla sua vita e al suo lavoro. Così invece si fa il contrario. Paradossalmente, si potrebbe verificare il caso di chi, per ottenere quei soldi, decide di avviare una gravidanza e poi, come consente una legge dello Stato che non può essere contraddetta da una norma regionale, non riconosce il bambino alla nascita e dunque lo rende adottabile. Un po' come l'utero in affitto, che la legge italiana vieta, o come la prostituzione, soltanto che in questo caso, anziché la prestazione sessuale, si "vende" la gravidanza».
E' importante la cifra?
«No, o meglio non è decisiva. L'assegno al momento della nascita di un figlio è una misura, per molti aspetti, assai migliore: in quel modo si offre un aiuto, anche simbolico, a chi si è già impegnato a diventare genitore, in un momento difficile per il  paese, per i giovani, per le famiglie. Così invece si mercifica una scelta cruciale come la maternità».
Quali possono essere le conseguenze di una nascita non voluta?
«Tragiche. Per un bambino, essere desiderato e dunque amato, a partire proprio dalla madre, è più importante di qualsiasi benessere materiale. Se invece quel bambino non è stato voluto, se lui stesso diventa un intralcio alla vita di una donna o di una coppia che non erano pronte al suo arrivo, sarà sempre infelice, così come lo sarà la stessa madre. Sono situazioni alle quali, purtroppo, ho assistito molto spesso e non mi pare il caso di incentivarle. Sono contraria all'aborto, ma se si vuole prevenirlo occorrono altri strumenti».
Tra gli argomenti di chi ha avanzato questa proposta c'è anche quello che la prevenzione dell'aborto, pur prevista dalla legge, nella pratica non si realizza. Qual è la sua risposta?
«E' un'osservazione singolare, specie se proviene dalle istituzioni pubbliche. Se i consultori non funzionano a sufficienza, se i servizi sociali non riescono a fare prevenzione, è, appunto, un problema delle istituzioni, che richiede scelte e non nuove norme. Lo ripeto: il rapporto tra madre e figlio è cruciale per la vita di ogni individuo, e va trattato con estremo riguardo, con delicatezza. C'è troppo zelo per i bambini non ancora nati, e troppo poco per quelli già venuti al mondo».

Vera Schiavazzi
(Repubblica, 16 febbraio)