domenica 25 novembre 2012

ANCORA SUL CONCILIO

Caro dottor Augias, lei è già intervenuto con buoni argomenti sul tema dell'Imu perle attività commerciali della Chiesa. Non c'è nulla da aggiungere sul problema visto da uno Stato laico che non dovrebbe privilegiare una parte e ancor meno inginocchiarsi a chicchessia. Vorrei invece evidenziare l'aspetto visto dalla Chiesa; in particolare, considerato che sono un parroco, di una Chiesa non affarista ma "serva", che sulle orme del suo Maestro porta dentro di sé il Dna del donarsi e di "dare tutta se stessa perché altri abbiano la vita". Nella "Gaudium et Spes" i vescovi conciliari, ormai in via di estinzione, dichiaravano: «La Chiesa non pone la sua speranza nei privilegi offertile dall'autorità civile. Anzi essa rinunzierà all'esercizio di certi diritti legittimamente acquisiti, ove constatasse che il loro uso può far dubitare della sincerità della sua testimonianza o nuove esigenze esigessero altre disposizioni». In quel grande documento la Chiesa si dichiarava disposta a rinunciare ai privilegi e addirittura ai "diritti legittimamente acquisiti"! Mi chiedo, con cruccio e amarezza, dove sia andata a finire quella Chiesa, che sotto la mannaia della restaurazione postconciliare, ha smesso di essere "coscienza critica" dello Stato, come sognava Luther King, nella volgare pretesa di farla da padrona.
Don Aldo Antonelli - Parroco di Antrosano (AQ) ednran@teletu.it

Credo che don Antonelli, parroco in Abruzzo, metta con questa lettera il dito nella piaga e ce ne mostri estensione e gravità. Quando si parla di Imu non si tratta solo di mettersi a contare i metri quadrati, il numero dei letti, la retta che pagano gli alunni, il costo dei ricoveri, quelli sono compiti -importantissimi, sia chiaro - che spettano a chi deve quantificare, calcolare il dovuto, esigerlo dagli enti che appartengono alla Chiesa come da qualunque altro. Incombenze diverse spetterebbero ad un uomo di religione, ad un "memor Domini" autentico, non a quelli che si dimenticano il titolo quando salgono a bordo di uno yacht. All'uomo di chiesa competerebbe lo sguardo alto e presago di chi tiene ancora al credo che ha promesso di servire. D'altra parte mi rendo anche conto delle difficoltà enormi di un'istituzione che attraversa una crisi grave, angustiata da un processo di secolarizzazione senza precedenti. Le gerarchie tentano di resistere da una parte contrastando la grande rivoluzione biologica in corso; dall'altra cercando soldi ovunque sia possibile trovarli. Per la Chiesa "serva" che un parroco come don Aldo cerca di difendere in questo momento c'è poco spazio. Lo si potrebbe trovare, forse, ma ci vorrebbe un altro papa come Giovanni XXIII dotato di quella forza tranquilla in grado di travolgere ogni ostacolo aprendo un'epoca nuova. Durata poco.

Corrado Augias
(Repubblica 17 novembre)