Benedetti estensori e traduttori dei salmi che non sono neppure riusciti, in duemila e più anni, a mettersi d’accordo su come citarli. E così continuiamo anche oggi a chiamare questo salmo come 131 (seguendo la numerazione ebraica e della maggior parte delle tradizioni moderne) o 130 (seguendo la numerazione della traduzione greca e latina). Insomma, finisce che anche i biblisti, per capire di che salmo si tratta, debbano indicarne le prime parole: “Signore, non s’inorgoglisce il mio sguardo...”.
“Svezzato” è un participio passivo che significa “compiuto, sistemato”. Nel testo biblico, né in ebraico né nella traduzione greca, si parla di “bambino”, anche se il contesto di “sopra sua madre” indica chiaramente quello. Lo evidenzio perché la poesia è naturalmente ellittica, non racconta tutto ma lo fa intuire, senonchè cambiando contesto (anche linguistico) può diventare indispensabile chiarire i sottintesi che potrebbero perdersi, o che la lingua di arrivo non sopporta.
Agggiungere “bimbo”, insomma, non sembra una forzatura del testo. Ma “compiuto, sistemato”, può essere opportunamente reso con “svezzato”? da una parte si, è un bambino “compiuto” quello che è svezzato; anzi, verrebbe da dire che è compiuto quando se ne sia andato da casa, quando abbia una vita autonoma, anche se questa interpretazione rende meno sensato il rimando a “sopra sua madre”. Ma lo “svezzato” lo rende sensato?
La traduzione greca interpreta il “compiuto” con un participio perfetto passivo che parla dell’allontanamento dal latte: il “compiuto” è un “allontanato dal latte”, il che è coerente con l’immagine del bambino e apparerentemente anche col suo svezzamento.
Dobbiamo però renderci conto che l’immagine non ha il massimo di forza: un bambino svezzato è un bimbo già più autosufficiente, che può persino gradire un allontanamento dalla madre.
Nello stesso tempo, però, il contributo della traduzione greca dei salmi è interessante e utile, almeno da due punti di vista. Da una parte, aiuta a fornire un’immagine più precisa coerente con il contesto di partenza e che arricchisce l’immagine di particolari, facendo pensare al latte. Dall’altra, ci aiuta a cogliere che le interpretazioni del testo biblico che si producono lungo il tempo non sono necessariamente edi semplici chiarimenti né dei tradimenti. È possibile (sarebbe invero l’ideale) che invece le successive interpretazioni della traduzione aiutino a entrare in profondità nelle immagini di partenza, a donare loro ricchezza.
Possiamo allora tornare alla partenza, e provare a raccogliere tutti i contributi in un quadro che sia coerente con se stesso, con il testo ebraico di partenza e con la sensibilità del nostro mondo. Non dobbiamo infatti dimenticarci che l’opera di intermediazione della traduzione è interpretazione del testo biblico dev’essere rispettosa sia verso l’originale, che non va “violentata”, sia verso chi leggerà il testo, che non deve trovarsi di fronte a difficoltà e tensioni non necessarie. Se un testo può parlare più direttamente al mondo d’oggi qualora sia tradotto in un modo non scorretto ma in qualche modo “orientato” dalle sensibilità odierne, questo non è un tradimento ma al contrario offre al testo la possibilità di parlare a pieno.
Ebbene, l’immagine del bambino svezzato, anche se tradizionale e abituale, non è la migliore. Non è incoerente con il testo biblico, ma “parla” meno del contesto letterario in cui lo troviamo oggi. Il suggerimento della traduzione greca, che va nella direzione dell’allontanamento dal latte, è l’immagine del “sopra la madre”, possono comporsi in un quadro diverso, che parla non di un bambino svezzato, ma di un bambino appena allontanato dal latte materno, nel senso che è stato “compiuto, completato”, ossia sfamato dal seno. È questa l’immagine più coerente con il testo biblico e con il mondo contemporaneo: la serenità di un bambino appena sfamato al seno che si poggia sul seno stesso della madre, placato, confortato e amato.
Va in questa direzione la traduzione dei salmi di Guido Ceronetti, autore aniostico ma capace di porsi in sintonia con il testo dei salmi, che restituisce in una forma molto asciutta, persino ruvida (stile che in effetti è quello dei salmi), ma insieme molto in sintonia con noi uomini contemporanei:
Non straripa superbia dal mio cuore
Non pretendono i miei occhi Signore
Sapere tutto
Non mi arricchisco fuori dei limiti
In arcani a me superiori
L’anima mia è tacita e quieta
Somiglia a un allattato
Sul seno di sua madre
L’anima mia è in me
Un lattante saziato
Ora e sempre Israel
Confida nel Signore
(Angelo Fracchia, da Il granello di Senape dicembre 2012, mambrebusca@alice.it)