Nove ragazzi su dieci sentono che il mondo è ostile nei confronti dell'omosessualità. La percezione è fondata su esperienze reali, visto che un ragazzo su tre dice di avere tra gli amici gay e lesbiche. Lo rivela un sondaggio realizzato dall'Istituto di Ortofonologia (Ido) su circa mille studenti. Alla domanda «quali persone dimostrano una maggiore difficoltà rispetto a questa tematica?» hanno risposto: la Chiesa nel 36% dei casi, la società in generale, nel 31% e infine i genitori per il 13%. I ragazzi invece sarebbero in buona parte accoglienti e poco rigidi. L'omosessualità non è un tabù per l'80% dei giovani, molti di loro ne parlano soprattutto con gli amici (il 49%) a volte in famiglia (il 29%) più raramente a scuola (il 17%). Confronti e scambi di idee danno adito a opinioni ben precise: per un ragazzo su tre l'omosessualità è una scelta consapevole e personale, mentre uno su quattro ritiene che sia una variante sessuale normale e di pari valore rispetto all'eterosessualità.
NOTE DOLENTI
Non mancano le note dolenti. Un ragazzo su dieci (il 12%) ritiene l'omosessualità un disturbo mentale (vedi www.diregiovani.it). Che fare? La responsabilità è da attribuirsi alla mancanza di informazione, agli stereotipi e ai pregiudizi veicolati dai media e ai contesti sociali non avvertiti rispetto all'omofobia. A scuola se ne parla poco. Soltanto lo scorso diciassette maggio, giornata mondiale contro l'omofobia, per la prima volta il ministro della pubblica istruzione ha diramato una circolare con la quale invitava i presidi a incentivare progetti anti-discriminazione. Molte sono le responsabilità dei giornalisti i quali spesso confondono «coming out» (lo svelamento di sé) con «outing» (dire che un altro è omosessuale), ignorando l'uso corretto del maschile e del femminile per le persone transessuali che vengono dette «i trans» attribuendo a loro automaticamente il mestiere della prostituzione. Per non parlare dell'ignoranza dei concetti di orientamento sessuale e identità di genere molto diffusa non solo tra gli informatori dell'informazione. Di linguaggio e di necessità di formare i media si è parlato nel corso del primo meeting nazionale del gruppo di lavoro lgbt contro omofobia e transfobia tenutosi presso l'Unar in dicembre cui hanno preso parte quasi tutte le associazioni interessate. Incontro tenutosi nell'ambito del progetto promosso dal Consiglio d'Europa «Contrasto alle discriminazioni basate sull' orientamento sessuale e sulla identità di genere». «Educazione e Istruzione, Lavoro, Sicurezza e Carceri, Comunicazione e Media: questi sono per noi i quattro assi prioritari di intervento» ha dichiarato Marco De Giorgi, direttore Unar. Sui media ha messo l'accento il neo presidente dell'Arcigay Nazionale Flavio Romani. Preceduto da Fabrizio Marrazzo, ha sottolineato l'importanza della comunicazione: «cerchiamo di rendere la vita delle persone Lgbt migliore ma non possiamo farcela da soli, ci serve l'aiuto e l'impegno di tutti, compresi giornalisti, direttori di testate e chiunque faccia informazione per creare una buona conoscenza su questi temi». Tutti gli altri interventi hanno ribadito la necessità di proseguire sul cammino intrapreso del dialogo fra istituzioni, associazioni e società civile al fine - ha aggiunto Imma Battaglia di Di' Gay Project - «di recuperare il tempo perduto e mettere in campo azioni concrete e specifiche per combattere omofobia e transfobia».
(L'Unità 2 gennaio)