mercoledì 26 febbraio 2014

Commento al cap.7 del vangelo di Marco

Mc 7,1-23 - Su purità e impurità: la “buona educazione’ di scribi e farisei e la risposta “liberante” di Gesù

Commento questo brano con alcune osservazioni tratte da “Il vangelo di Marco” di Drewermann.
       1) Sulla via che porta a Dio per Gesù solo una è la domanda essenziale: cos’è davvero in armonia con la nostra vita? Come fare in modo che la nostra personalità si esprima coerentemente nelle nostre azioni, senza dare un’immagine diversa da quello che siamo nel nostro intimo?
Le risposte di scribi e farisei, apparentemente tanto pratiche, strada facendo si codificano. Nasce l’idea che si può tranquillamente lasciar perdere Dio, basta comportarsi correttamente secondo la morale borghese, non infrangere nessun tabù, fare attenzione alle regole della buona educazione e dell’etichetta sociale e stare tranquilli nella propria posizione sociale.
Gesù dice che scansare i problemi reali della vita dà un senso solo momentaneo di alleggerimento, ma alla lunga opprime la vita: bisogna piuttosto superare la fobia della critica sociale (cioè la paura degli altri) trasformandoci in un’umanità libera da pregiudizi.
Finché la paura di quello che dicono vicini, parenti, superiori resta preponderante, rimaniamo schiavi delle convenzioni e della tradizione e continuiamo a negare noi stessi.
       2) Un’altra domanda indissolubilmente legata alla precedente: come corrispondere ai reali bisogni delle altre persone? Come accostarsi a loro con naturalezza?
Il rischio di ogni legalismo religioso (i “sepolcri imbiancati” di Mt. 23,27) è che dietro la facciata di un comportamento esteriore “legale”, dietro la luminosità del primo piano si produca una figura che agisce alle spalle, producendo reazioni opposte a quelle del ruolo imposto.
       3) Facciamo fatica a prestare attenzione ai movimenti del nostro cuore. La religione, chiedendoci cosa succede nel nostro cuore, ci aiuta a non rimanere alla superficie della convivenza borghese, ci rivela ciò che siamo, quello a cui diamo importanza.
       4) Gli scribi costituiscono il 2% del popolo d’Israele e, pur non essendo benestanti (la maggior parte vivevano del sostegno dei loro scolari), possono permettersi di portare a termine uno studio teologico e dunque presentarsi come esperti.
Gesù però stà dalla parte di coloro che mangiano “con le mani sporche”. Come fanno le persone che non hanno l’acqua in casa e che spesso devono camminare una buona mezz’ora per arrivare alla fontana più vicina a lavarsi le mani prima di mangiare? Per loro i riti di purificazione non hanno senso.
     5) Per Gesù è importante che la nostra sensibilità non si risolva nell’addestramento, non vuole che diventiamo “scimpanzé in doppio petto”. Ciò che conta non è l’esteriorità ma quello che succede nel cuore. Non guarda come ci comportiamo esternamente ma quello che c’è nel nostro cuore. Non chiede di addestrare con l’angoscia e governare dall’esterno il nostro cuore, ma di cambiarlo dall’interno.

Mc 7,24-30 Anche Gesù ha bisogno di “conversione”

       Nel corso dell'intero brano ci viene descritto un Gesù un po' strano, particolarmente chiuso e sulle difensive.
Secondo il racconto di Marco, analogo a quello di Matteo 15,21-28, Gesù si allontana dalla Galilea, la regione settentrionale della Palestina in cui vive, per ritirarsi per qualche tempo più a nord, in Fenicia, la regione della città di Tiro.
Il brano ci dice che Gesù "voleva che nessuno lo sapesse" (Mc 7,24): probabilmente cercava un po' di pace, un po' di distacco dalle folle che chiedono pressantemente il suo aiuto, come viene descritto nei capitoli precedenti del vangelo. Lui che vive aderendo totalmente alla realtà, disponibile all'ascolto della sofferenza, ogni tanto ha bisogno anche di ritirarsi, dedicando del tempo a se': come quando riposa beato in fondo alla barca, mentre i discepoli sono alle prese con la tempesta (Mc 4,38), o quando lascia l'ennesimo bagno di folla per salire sul monte solo a pregare (Mc 6,46).
Il suo desiderio di passare inosservato non viene soddisfatto: una donna di origine siro-fenicia e di cultura greca, dunque pagana, chiede con insistenza il suo aiuto.
Con la sua reazione iniziale Gesù dimostra di non essere disponibile ad ascoltare la donna. Nella versione di Matteo si dice con maggior dettaglio che "non le rivolse nemmeno una parola" e che "i discepoli gli si accostarono implorando: “'Esaudiscila, vedi come ci grida dietro" (Mt 15,23).
Di fronte all'insistenza della richiesta d'aiuto, Gesù risponde, ma le sue sono parole di chiusura e rifiuto: parole offensive verso la donna e i pagani in generale, che vengono definiti "cagnolini" (Mc 7,27); parole che suonano strane proprio perché pronunciate da lui, che aveva scandalizzato in Galilea per la sua disponibilità totale all'ascolto, in particolare verso coloro che sono discriminati, esclusi dalla società.
Anche lui è in questo caso vittima del pregiudizio contro cui di solito lotta. La sua disponibilità non è uguale per tutti: hanno la precedenza i "figli" di Dio, ovvero gli ebrei.
Ma la donna non si perde d'animo, grida la sua richiesta d'aiuto, esprime fino in fondo la sua sofferenza; la sua fiducia supera anche questo ostacolo, la sua fede annulla la barriera che Gesù ha creato.
Questa volta è Gesù ad essere convertito, la risposta della donna fa breccia nel suo cuore. Il dialogo tra i due è talmente significativo che il "miracolo" finale passa quasi in secondo piano, pur essendone la conseguenza. Appare evidente qui, forse più che in altri racconti di miracolo, come il superamento della sofferenza (il cosiddetto "miracolo") non viene da un gesto magico, soprannaturale e ancor meno univoco di un guaritore, ma da un movimento a due che coinvolge chi chiede aiuto e chi ascolta. E' indispensabile che chi vive la sofferenza riesca ad esprimerla e chi ascolta riesca veramente a farsi toccare nel profondo da questo grido.

Francesco Giusti