sabato 15 marzo 2014

Fare nostro lo sguardo di Dio

La creazione «geme» per colpa della nostra «vanità» - scrive l’apostolo Paolo in un famoso passo di Romani 8. E tale lamento del creato si leva altissimo ai giorni nostri, in cui la turpe aggressione alla terra, la mostruosa offesa alla natura da parte di noi umani hanno raggiunto livelli tali da mettere a rischio la sopravvivenza stessa degli esseri viventi. E’ questo uno dei più gravi peccati e dei più gravi pericoli della contemporaneità, tanto da spingere qualcuno a evocare l’urgente necessità di un «undicesimo comandamento»: «Non deturperai né profanerai più la terra» (cosi afferma il filosofo Duccio Demetrio in  un libro bello e importante, uscito di recente: «La religiosità della terra - Una fede civile per la cura del mondo», ed R. Cortina). Il che però è come dire che le Dieci Parole ricevute da Dio oggi non bastano più: s’impone un’integrazione, appunto un «undicesimo comandamento», che denunci la profanazione rovinosa cui la terra è sottoposta. Io però  non credo che la Parola del Signore possa essere da noi ampliata o modificata, ma che anzi rimanga bastevole a se stessa, cioè completa e perfetta per noi. E sono convinto di conseguenza che questo «undicesimo comandamento» (il cui contenuto è senz’altro condivisibile) non sia necessario aggiungerlo, perché è già presente nelle Dieci Parole. Ma dove? Innanzitutto nel comandamento del riposo: «Ricordati del giorno del riposo per santificarlo». E perché mai proprio qui? Perché questo comandamento ci chiama ad astenerci dal lavoro non solo per consacrarci a Dio, ma anche per assumere, fare nostro lo stesso sguardo di Dio che dopo aver compiuto la creazione, si riposa. E, riposandosi della sua opera per ciò stesso si compiace e la contempla: vale a dire che ne ammira la bellezza, l’intrinseca bontà.
Ebbene, è proprio questo invito alla contemplazione amorevole della terra, quella che noi ignoriamo, disconosciamo. «Guardate gli uccelli del cielo, i gigli della campagna» ci dice Gesù (in Matteo 6): guardate cioè come riposano pacificati, fiduciosi abbandonati alla cura del «Padre vostro  celeste che li nutre». Ma questo sguardo di pace, meraviglia, amore nei confronti del creato, cui il comandamento del riposo ci invita, noi lo rigettiamo, per vedere nella terra solo un’area di saccheggio. E così facendo distruggiamo la terra che Dio ci dà. Ecco dunque: santificare il giorno del riposo significa anche capire in quel giorno quanto sia amabile la terra.
Giampiero Comolli

(Riforma 7 marzo)