lunedì 31 marzo 2014

TAMAR, LA RESILIENTE

C’è una storia nella lunga narrazione del libro della Genesi che rischia di rimanere un po’ in ombra, se non addirittura di essere dimenticata. Perché breve rispetto ai grandi cicli del libro (Abramo, Isacco, Giacobbe, Giuseppe), perché racconta la storia «immorale» di una donna, nessuna impresa eroica o di santità mistica.

Mi è capitato diverse volte di leggere in gruppi biblici cattolici questa storia e di trovarla del tutto sconosciuta perché non è inserita nei cicli ordinari di lettura liturgica.

Eppure è una storia straordinaria in ordine al tema che stiamo affrontando in questi mesi in questa pagina del nostro giornale: la fede resiliente, la fede capace di affrontare il male con sagacia, senza contrapposizione frontale, venendone feriti, ma facendo scaturire dal suo sangue una vittoria.

È la storia di Tamar, raccontata nel capitolo 38 di Genesi. Una storia di inganno e di furbizia, di «aggiramento» della prepotenza. La storia inizia con il patriarca di una famiglia, Giuda, che sceglie la moglie per il figlio primogenito. La cosa sembra normale. Eppure è sorprendente: nella Genesi, in cui le storie di famiglia sono numerose, nessun padre sceglie egli stesso la sposa per il figlio.

Come accade spesso, l’esordio segna lo sviluppo della vicenda che, in questo caso, ruota intorno al dominio di un padre nella vita dei figli, un padre che cerca di imporre le proprie decisioni agli altri. Tutto succede come se egli tentasse di tenere la famiglia sotto controllo. Vuole forse evitare la sventura di suo padre, il patriarca Giacobbe, per non aver rispettato il diritto della primogenitura?

Le parole di Giuda sono sempre degli ordini, come se egli avesse il diritto di disporre degli altri. Nonostante i suoi sforzi, però, malgrado la sua autorità, le cose sfuggono al suo potere e al suo controllo.

Non appena sposato da suo padre, il primogenito Er muore. Per assicuragli una discendenza, Giuda dispone il matrimonio del secondogenito, Onan, sempre con la stessa moglie del primo, Tamar. Ma Onan si ribella all’autorità del padre e lo inganna: gli lascia credere di stare con sua cognata, mentre invece le rifiuta il proprio seme.

Andando un poco più a fondo nella vicenda ci si accorge che certamente Giuda cerca di controllare tutto credendo di riuscirvi, ma ciò che realmente determina il suo modo di agire e le sue decisioni è senza dubbio un desiderio di vita. Spingere qualcuno a sposarsi, ad avere dei figli e vederli prendere in moglie è certamente una voglia di vivere. Voglia che muove Giuda anche a proteggere il terzo figlio allontanandolo da colei che crede responsabile della morte dei due mariti: Tamar. Il desiderio di vita si è pervertito in paura della morte.

Questo conduce Giuda a essere falso, promettendo di rispettare la legge del levirato che vuole che un fratello dia una discendenza al fratello morto fecondando la vedova (Dt 25, 5-6), ma senza farne seguire un impegno vero. In questo modo la nuora è condannata alla morte sociale e affettiva.

Tamar, invece di rimanere sepolta viva, di rimanere nell’oblio, si ingegna in una maniera molto eterodossa: si vela da prostituta. Sente che suo suocero è rimasto vedovo, ha fatto la pezzatura del bestiame, ed è euforico; lei si mette alla porta della città ad attendere quest’uomo che ha finito il lavoro. È la stagione della primavera quando la vita rifiorisce, mentre la vita di Tamar, che è una sepolta viva, è bloccata. Quando Giuda vede questa prostituta, vuole andare con lei, ma non ha i soldi e allora offre dei segni come pegno fino al suo ritorno: lei prende il sigillo, i cordoni e il bastone, e si unisce con il suocero. A questo punto Tamar la prostituta scompare dalla scena. Giuda torna alla sua vita, e manda un servo per pagare la donna perché è un uomo d’onore, ma alla porta della città nessuno ha mai visto una prostituta, non c’è mai stata una prostituta. Dopo tre mesi Giuda riceve la notizia che la nuora, che lui aveva dimenticato, che aveva sepolta viva, è incinta. Allora Giuda diventa giudice e vuole lapidare questa infedele. Ecco lo svelamento dell’inganno: Tamar manda a dire a Giuda che il padrone degli oggetti che lei possiede è il padre del bambino. Giuda capisce che lei è stata più giusta di lui. Questo è allora il suo commento: «Lasciatela andare perché lei è più giusta di me». Tamar avrà due figli.

Giuda e noi tutti riceviamo una lezione di vita da Tamar: non si salva la propria vita proteggendola accanitamente dalla morte, questo è il modo più sicuro per perderla. Occorre rischiare con audacia. Tamar è colei che disubbidisce al potere della paura e permette il trionfo della vita e della verità.

La creatività di Tamar riapre un futuro dove la prepotenza maschile l’aveva chiuso, senza cedere alla rassegnazione e anzi compiendo una trasgressione: accoppiarsi con il suocero.

Per noi lettori della Scrittura è una grande lezione che prepara anche al seguito. Proseguendo, infatti, il racconto, incontreremo Giuseppe vittima di un’altra ingiustizia. Anch’egli, lungi dal cercare vendetta e dal contrapporsi con violenza alle vessazioni subite, con grande abilità strategica condurrà passo passo coloro che gli hanno fatto violenza a riconoscere da soli il male compiuto e a rifiutarlo come condotta di vita.

(Gabriele Arosio, Riforma 28 marzo)