giovedì 17 luglio 2014

Racconti di vita nei giorni di guerra

DI QUESTO MESTIERE AMO L'INONTRO CON L'ALTRO. IL VIAGGIO DELL'ALTRO E'  IL PIU AVVINCENTE E COSTRUTTIVO. E' scoperta della capacità dei terremotati haitiani di riaccendere una radio, reinventarsi barbieri, distribuire cibo, giù le macerie su il cielo stellato. E' il custode della Chiesa di Nyamata, dove si conservano al pubblico i corpi delle vittime del genocidio ruandese, che alla mia richiesta di spiegazioni replica: «Non vogliamo esser dimenticati».
E' persino la dignità di certe taverne in tempo di guerra, aperte nonostante le bombe, perché in quello è la loro resistenza, nella convinzione che un giorno la normalità possa tornare.
Amo il racconto della vocazione a vivere.
Cercare la vita nelle guerre è solo all'apparenza un paradosso.
Quanta vita c'era nelle mamme di Misurata che durante l'assedio delle forze di Gheddafi, tutte le mattine prendevano in mano i sussidiari, mentre le pareti di casa sussultavano e, leggendo più forte dei combattimenti, facevano fare i compiti ai loro bambini! Non sono mai stato tanto attaccato alla vita scrive Giuseppe Ungaretti, in pagine immutabili come certe statue di Fidia , e di Prassitele.
Tenere vivo questo mestiere in tempi di crisi è la sfida, farlo sopravvivere alla tentazione di affidare tutto a quell'alef borgesiano che è internet. Finché mi sarà consentito io scelgo il racconto sul campo. Sapendo che storia è ciascuno di noi. «Non chiedere mai per chi suona la campana. Essa suona per te».
Lucia Goracci

(L'Unità 1° luglio)