giovedì 16 ottobre 2014

PORTE APERTE E PORTE CHIUSE


Il Sinodo esploso nella libertà

Dalle dottrine alle persone, dal giudizio alla misericordia – Spodestare la morte

Il Sinodo dei Vescovi è esploso nella libertà. Come aveva fatto Giovanni XXIII che aveva liberato il Concilio permettendogli di eleggere i membri delle commissioni conciliari e sparecchiandogli il tavolo invaso dai testi già preparati, così ha fatto Francesco col Sinodo straordinario sulla famiglia. Come aveva detto al quotidiano argentino La Nación: “io sono stato relatore del Sinodo del 2001 e c’era un cardinale che ci diceva ciò che si doveva dibattere e ciò che non si doveva. Questo non succederà adesso. Ho perfino dato ai vescovi la facoltà, che spetterebbe a me, di scegliere i presidenti delle commissioni. Saranno loro a scegliere i segretari e i relatori. Questa è la pratica sinodale che a me piace. Che tutti possano esprimere le proprie idee in tutta libertà. La libertà è sempre molto importante. Altra cosa è il governo della Chiesa, che è nelle mie mani, dopo le consultazioni del caso”.

Così per quanto riguarda il metodo. Ma per quanto riguarda il merito la liberazione è stata ben più sostanziale, ed è stata formulata nell’omelia pronunciata da papa Francesco il 13 ottobre a Santa Marta, la mattina in cui doveva essere presentata la “relatio post disceptationem” cioè la prima relazione riassuntiva del dibattito fatta dal cardinale ungherese Peter Erdö. Parlando dei dottori della legge che contestavano Gesù, il papa ha detto: “non sono capaci di vedere i segni dei tempi. Perché questi dottori della legge non capivano? Prima di tutto perché erano chiusi. Erano chiusi nel loro sistema, avevano sistemato la legge benissimo, un capolavoro. Per loro erano cose strane quelle che faceva Gesù: andare con i peccatori, mangiare con i pubblicani. A loro non piaceva, era pericoloso; era in pericolo la dottrina, quella dottrina della legge, che loro, i teologi, avevano fatto nei secoli. Avevano dimenticato che Dio non è il Dio della legge, ma è il Dio delle sorprese”. E nella messa di apertura del Sinodo, commentando la parabola della vigna, aveva ammonito i vescovi a non frustrare “il sogno di Dio”, facendo come i cattivi pastori che caricano sulle spalle della gente pesi insopportabili che loro non muovono neppure con un dito.

Dunque se c’era una cosa che doveva fare il Sinodo, non era certo di costruire nuovi piedistalli alla legge, ma di fare spazio all’inventiva e al sogno di Dio.

La svolta del Sinodo

Il Sinodo nel suo insieme si è fatto coinvolgere da questo clima creato dal papa e, benché non si possa sapere come finirà l’anno prossimo, certamente ha già segnato una svolta, e ha superato due soglie.

La prima è stata nel mutamento della percezione di che cosa sia il “deposito” che la Chiesa deve custodire e promuovere. Se prima il deposito era inteso come un insieme di dottrine, derivate da Dio, ora il deposito è inteso come le persone amate da Dio, e perciò non solo le persone della Chiesa, anche quelle del “mondo”. Sono loro di cui la Chiesa deve avere cura, che deve custodire, coltivare, far crescere.

La seconda è stata il seguito della prima: di nessuno si è parlato come di persone prive di valore o escluse dalla comunione o giacenti in uno stato, cioè in una condizione di vita di peccato, di disordine “oggettivo” (come si diceva degli omosessuali, dei divorziati risposati), ma di tutti si è parlato con comprensione e amore.

Si è detto ad esempio delle coppie di fatto, nella seconda congregazione generale, che anche situazioni imperfette devono essere considerate con rispetto: ad esempio, unioni di fatto in cui si conviva con fedeltà ed amore, presentano elementi di santificazione e di verità. E aggiunge la relazione presentata dal cardinale Erdö che spesso le convivenze o le unioni di fatto non sono dettate da un “rigetto dei valori cristiani” ma da esigenze pratiche, come l’attesa di un lavoro fisso. E dice dei matrimoni civili la stessa relazione, che ve ne sono “connotati da stabilità, affetto profondo, responsabilità nei confronti dei figli, e che possono portare al vincolo sacramentale”.

Sui divorziati risposati si è detto, nella terza congregazione generale, che la Chiesa deve presentare loro non un giudizio, ma una verità, perché la gente segue la verità e segue la Chiesa se essa dice la verità; che, quanto all’eucarestia, essa non è il sacramento dei perfetti, ma di coloro che sono in cammino; e dice la relazione “post disceptationem” che riguardo “a separati, divorziati e divorziati risposati non è saggio pensare a soluzioni uniche o ispirate alla logica del tutto o niente”; anzi bisogna avere “rispetto e amore” per ogni famiglia ferita pensando a chi ha subito ingiustamente l’abbandono del coniuge, evitando atteggiamenti discriminatori e tutelando i bambini. Restano le tre possibilità: mantenere la disciplina attuale, attuare una maggiore apertura per casi particolari insolubili senza nuove ingiustizie o sofferenze, oppure optare per la via “penitenziale” (con successiva ammissione all’eucarestia). In ogni caso aggiunge la relazione che “riguardo alle convivenze, ai matrimoni civili e ai divorziati risposati compete alla Chiesa di riconoscere quei segni del Verbo sparsi oltre i suoi confini visibili e sacramentali”: quei semi del Verbo che anche fuori della Chiesa aveva già riconosciuto il Concilio.

Riguardo alle persone omosessuali viene sottolineato nella relazione a metà Sinodo del cardinale Erdö che esse hanno “doti e qualità da offrire alla comunità cristiana”, per cui la Chiesa deve essere per loro “casa accogliente”; resta il no alle unioni omosessuali, ma “senza negare le problematiche morali che vi sono connesse, si prende atto che vi sono casi in cui il mutuo sostegno fino al sacrificio costituisce un appoggio prezioso per la vita dei partners”.

Se in passato si è parlato per la Chiesa di una svolta copernicana, ebbene la svolta copernicana è qui: dalle dottrine alle persone, dal giudizio (“non negoziabile”) alla misericordia......
Raniero La Valle