Se la pancia prende il posto del volto allora significa che il corpo esaurisce tutto il nostro essere. Se poi il corpo è quello di Falstaff, l'eroe shakespeariano, emblema del grasso straripante e della liberta debordante, la testimonianza vale il doppio.
L'idea di trasformare la pancia in una maschera è del regista Andrea De Rosa, che ha costruito su questo paradosso il suo bellissimo spettacolo Falstaff in scena fino al prossimo 2 novembre al Teatro Stabile di Torino. Il testo attinge all'Enrico IV di Shakespeare - splendidamente tradotto da Nadia Fusini - che nella vicenda del leggendario grassone, prima favorito e poi rinnegato dal re sull'altare di una morale asetticamente perbenista, lascia intravedere l'avvento della nostra modernità. Che dell'efficienza e della salute ha fatto un articolo di fede.
Ma, come sottolinea il regista, in cambio di tante rinunce, il nostro tempo ci ha dato più longevità che felicità. E il ventre tracimante di Falstaff, immensamente interpretato dal superbo Giuseppe Battiston, fa scandalo perché sta in scena a ricordarcelo. Incontenibile, come la sua fame di vita e la sua indipendenza di giudizio. E tutta qui la differenza con noi, che della vita non abbiamo più fame, ma paura. E della liberta non sappiamo bene cosa fare. E i nostri corpi piallati e immunizzati ne sono la prova.
Questo spettacolo non è certo un'istigazione alla bulimia. Ma una critica all'ossessione contemporanea della magrezza che fa della leggerezza una virtù morale, finendo per formattare corpi e anime. Una dissacrante sollecitazione a riflettere sul senso della vita. Che va ben oltre il girovita. Scusate se è poco.
Marino Niola
(Il Venerdì 24 ottobre)
L'idea di trasformare la pancia in una maschera è del regista Andrea De Rosa, che ha costruito su questo paradosso il suo bellissimo spettacolo Falstaff in scena fino al prossimo 2 novembre al Teatro Stabile di Torino. Il testo attinge all'Enrico IV di Shakespeare - splendidamente tradotto da Nadia Fusini - che nella vicenda del leggendario grassone, prima favorito e poi rinnegato dal re sull'altare di una morale asetticamente perbenista, lascia intravedere l'avvento della nostra modernità. Che dell'efficienza e della salute ha fatto un articolo di fede.
Ma, come sottolinea il regista, in cambio di tante rinunce, il nostro tempo ci ha dato più longevità che felicità. E il ventre tracimante di Falstaff, immensamente interpretato dal superbo Giuseppe Battiston, fa scandalo perché sta in scena a ricordarcelo. Incontenibile, come la sua fame di vita e la sua indipendenza di giudizio. E tutta qui la differenza con noi, che della vita non abbiamo più fame, ma paura. E della liberta non sappiamo bene cosa fare. E i nostri corpi piallati e immunizzati ne sono la prova.
Questo spettacolo non è certo un'istigazione alla bulimia. Ma una critica all'ossessione contemporanea della magrezza che fa della leggerezza una virtù morale, finendo per formattare corpi e anime. Una dissacrante sollecitazione a riflettere sul senso della vita. Che va ben oltre il girovita. Scusate se è poco.
Marino Niola
(Il Venerdì 24 ottobre)