lunedì 19 gennaio 2015

“Le nostre matite per continuare la lotta”

Plantu, lei è vignettista sulle colonne di Le Monde e conosceva bene il gruppo di Charlie: è sempre altrettanto sbalordito, a un giorno di distanza?
«E' una tragedia. Bisogna ricordare che si tratta di grandissimi vignettisti. Penso anche alle altre persone che sono state assassinate e ai due poliziotti. Quei disegnatori li conoscevo tutti da 35 anni, Charb, il direttore, da una ventina d'anni. Ogni volta che ci incontravamo ci scambiavamo le nostre impressioni e trovo interessante osservare che, anche se questa libertà è stata calpestata, si è subito rialzata. Io stesso credo che non smetterò di lavorare nelle scuole. Poco tempo fa sono stato in Corsica, in alcune scuole, a raccontare come ci si possa esprimere attraverso le immagini. Perché non bisogna dimenticare che abbiamo a che fare con gente che ha paura delle immagini. Quando gli mostriamo delle immagini, noi parliamo con le matite e loro con cosa rispondono? Con i kalashnikov! E la lotta è questa: su queste colonne di giornale che portano letteratura, cronache e giornalismo, la lotta continua attraverso i nostri disegni e con l'impertinenza che dobbiamo sempre avere».
Vuol dire che il modo migliore per rispondere a questa tragedia è continuare a disegnare?
«Continuare a esprimersi. Disegnare, da qualche ora, è un dramma per i vignettisti ma è un dramma per la libertà di espressione. Bisogna contravvenire ai divieti. Ci saranno sempre degli hashtag, ci saranno sempre persone, su Facebook o su Twitter, che ti diranno che quello sì, lo potevi dire, ma quello no! E questo è l'inizio di una nuova lotta che dobbiamo costruire, utilizzando i social network ma scavalcando tutte le forme di divieto che si stanno organizzando».
Abbiamo conosciuto vignettisti in pericolo, uccisi, all'estero, per aver fatto delle caricature. Ma lei pensava che una simile violenza - morire per delle vignette, per aver fatto satira -potesse verificarsi anche in Francia?
«Purtroppo, nelle interviste degli ultimi dieci anni, dopo lo shock per l'assassinio del vignettista danese, è stato il mio discorso principale. "Prima o poi succederà". Quando sono stato a Copenaghen, non molto tempo fa, i vignettisti che ho incontrato avevano le guardie del corpo. Continuo a incontrare in Venezuela, in Russia, in Medio Oriente, ma anche in Tunisia - solo un anno fa – disegnatori che mi dicono questa frase: "Sai, forse chiederò delle guardie del corpo". E ce ne sono, naturalmente, che le guardie del corpo ce le hanno».
(Copyright Le Monde. Traduzione di Elda Volterrani)
JEAN-GUILLAUME SANTI

(Repubblica 9 gennaio)