martedì 17 marzo 2015

“Dal nostro dolore partì il riscatto”

SELMA. «Il ponte di Selma è quasi un luogo sacro, un posto in cui la gente ha versato il sangue per riscattare l'anima dell'America. In questa città la gente non poteva registrarsi per votare solo a causa del colore della pelle: era una cosa che dovevamo cambiare». John Lewis, quasi trent'anni di anzianità alla Camera dei Rappresentanti, all'epoca aveva solo 25 anni. «Non dimenticherò mai cosa ho provato a essere su questo ponte il Bloody Sunday. Arrivammo al punto più alto e sotto di noi vedemmo una distesa di divise blu, poliziotti dell'Alabama. E dietro la polizia a cavallo. Continuavo a pensare che ci avrebbero arrestati. Vennero verso di noi, colpendoci con gli sfollagente, calpestandoci con i cavalli. Sentii le gambe piegarsi, pensavo che sarei morto».
Fu trasportato alla chiesa da dove era partita la marcia. E fu lì che pronunciò la sfida al presidente Lyndon Johnson.
«Dissi: non capisco come faccia il presidente Johnson a mandare delle truppe in Vietnam e a non mandare delle truppe a Selma, per proteggere la gente che vuole solo registrarsi per votare».
Dopo il Bloody Sunday, Johnson disse al Congresso: "E' un errore negare a un cittadino americano il diritto di voto. We shall overcome".
«Era il primo presidente a usare le parole della canzone simbolo della lotta per i diritti civili. Guardai Martin Lnther King e aveva il volto rigato di lacrime. Anche io cominciai a piangere; non mi piaceva che mi vedessero piangere, ma piansi lo stesso. Jhonson mise la Guardia Nazionale dell'Alabama sotto il controllo federale, per  proteggerci, da Selma fino a Montgomery».
Poi il 6 Johnson firmò l'atto sul diritto di voto.
«Il voto è lo strumento più forte e non violento che abbiamo in una società democratica, e non voglio che la gente dimentichi che c'è stato chi ha pagato un caro prezzo per ottenerlo».
© Cnn
(Traduzione di Luisa Piussi)

(Repubblica 8 marzo)