sabato 13 giugno 2015

Né operai né fuoriclasse del calcio ai ragazzi servono modelli diversi

LA MANCANZA di un livello elevato di istruzione e di competenze culturali che consentano di navigare un modo sempre più complesso non è più solo un fattore discriminante per la possibilità delle donne di stare nel mercato del lavoro pur avendo una famiglia. Sta diventando anche un fattore discriminante per gli uomini, rispetto sia al trovare un lavoro e tenerlo, sia all'avere una famiglia. Sono sempre più numerosi i lavoratori manuali maschi a bassa qualifica - i blue collar workers - i cui posti di lavoro sono stati decimati dalla crisi e difficilmente torneranno. Come i contadini italiani degli anni Cinquanta, in alcuni paesi questi uomini fanno fatica anche a trovare moglie, o comunque una compagna, perché hanno poco da offrirle, salvo insicurezza economica unita alla frustrazione di non poter far valere il proprio tradizionale ruolo maschile di procacciatore principale, o unico, di reddito. Secondo l' Economist quest'ultimo fenomeno è molto visibile negli Stati Uniti. Succede anche nelle regioni orientali della Germania, dove le ragazze sono state più pronte a cogliere le opportunità offerte dall'unificazione, hanno investito e investono in istruzione, si spostano ad ovest dove le opportunità sono maggiori, mentre i ragazzi meno istruiti, con apprendistati in settori deboli, rimangono in loco, spesso disoccupati, e ingrossano le fila dei movimenti più o meno xenofobi.
Non è quel poco o tanto di emancipazione femminile che c'è stato ad indebolire la posizione di questi uomini e dei ragazzi a bassa qualifica. È innanzitutto il venir meno di alcune occupazioni che davano anche a uomini a bassa qualifica la possibilità di avere un lavoro pagato decentemente e una posizione sociale riconosciuta e che facevano ritenere ad un ragazzo che non voleva studiare di poterne fare a meno, perché avrebbe trovato comunque un lavoro — come succedeva fino a pochi anni fa anche nel Nordest italiano. Anzi, per alcuni ragazzi che provengono da famiglie in cui l'istruzione non è importante, stare troppo a scuola può essere un segno di poca maschilità, tanto più se a scuola trovano in posizione di autorità quasi soltanto donne. Senza esagerare sull'effetto negativo, per l'acquisizione di modelli di genere maschile meno rigidi ed univoci, di un corpo insegnante prevalentemente femminile, occorre riflettere sulla necessità che i ragazzi, specie di condizione economica modesta, trovino sulla propria strada modelli di ruolo maschile, accessibili e realistici (non tutti possono fare il calciatore in serie A o B), più diversificati. Non si tratta tuttavia solo o prevalentemente di rendere accettabile anche agli uomini (a bassa istruzione) di diventare badanti o parrucchieri, come suggerisce l' Economist. Anche se questa è stata l'esperienza di molti operai della Germania dell'Est dopo la riunificazione che, per trovare un lavoro dopo la chiusura delle loro fabbriche hanno dovuto accettare di imparare a fare lavori tradizionalmente "femminili", come gli assistenti alle persone non autosufficienti in una società che invecchia (e che stava sviluppando un sistema di servizi in questo settore). Si tratta soprattutto di investire nella formazione dei ragazzi (e ragazze) e in quella degli adulti per arricchirne le capacità e metterli in grado di cogliere le opportunità di un sistema economico e produttivo cambiato e le sfide di una relazione uomo-donna che non può più poggiare sugli automatismi di modelli di ruolo rigidi. Un investimento particolarmente necessario e urgente proprio per gli adulti a bassa qualifica e per i ragazzi tentati di lasciare la scuola. Qualche cosa di più e di diverso dall'incoraggiarli ad andare a "scaricare le cassette della frutta al mercato" durante le vacanze per avvicinarsi al mercato del lavoro, come ha suggerito il ministro Poletti.
Chiara Saraceno

(la Repubblica 8 giugno)