Invece siamo a Ciminna, paesone agricolo a cinquantacinque chilometri da Palermo falcidiato dall'emigrazione e dalla crisi. Qui, in un vecchio fabbricato delle suore bocconiste, è appena partito un progetto che ha i contorni del sogno e la concretezza di undici sorrisi. Sono quelli dei sei giovani migranti arrivati naufraghi in Sicilia e adesso qui a lavorare tra campi e animali, dei quattro disoccupati siciliani ultracinquantenni che faticano accanto a loro, e di padre Sergio Mattaliano, il presidente della Caritas di Palermo che ha tirato fuori dal cappello il progetto. «Bisogna dare una possibilità a questi ragazzi – dice – non ha senso salvarli dai barconi e poi tenerli mesi e anni a vivacchiare nei centri. Sono giovani che sanno fare un sacco di cose, perché non cominciamo a considerarli una risorsa e non un peso?».
Ecco allora Soe, 28 anni, del Senegal, che a cavallo ci andava anche in patria. Ecco Mamadì, 19 anni, della Costa d'Avorio. Ecco Colj, suo coetaneo, del Mali, che nel naufragio perdette il suo cuginetto, «mi scivolò dalle mani mentre lo tenevo a galla». E poi Yannick che si fa chiamare Tommaso, 22 anni, della Costa d'Avorio, e Toumani, 23, del Mali, che qui per tutti è Pietro. E infine Lamine, 19, del Gambia.
«Semi-nati»
Il progetto si chiama «Semi-nati», ed è una fattoria solidale finanziata con l'8 per mille. Migranti e siciliani disoccupati hanno appena costituito una cooperativa, dal nome «La carità non finirà mai» e ogni giorno si spezzano la schiena sui tre ettari di terreno per diserbare il terreno, coltivare l'orto, badare ai conigli, alle galline, alle oche e al cavallo. Mamadì tiene la cassa e ride quando fa i conti. Yannick racconta orgoglioso: «Molti di noi sanno già lavorare i campi perché nei nostri Paesi facevamo i contadini o allevavamo animali. Stare in mezzo al verde mi dà serenità e il contatto con la terra mi ricorda l'Africa. No, non ci tornerei affatto e ho fatto di tutto per arrivare qui in Europa, ma non l'ho dimenticata».
Alcuni sono cristiani, altri musulmani, ma questo non conta per padre Sergio, uno dei primi sacerdoti in Italia l'anno scorso a togliere le panche dalla sua chiesa della borgata di Falsomiele, a Palermo, per ospitare le brande dei migranti. «È gente, come noi, che ha diritto a realizzarsi – dice – è gente che ha bisogno, indipendentemente dalla propria fede. Loro, insieme ai quattro siciliani che hanno perso il lavoro, stanno cercando insieme di costruirsi un futuro e una vita dignitosa».
Il primo passo è quello di rivendere al mercato i prodotti dei campi e dell'allevamento. L'obiettivo di più lungo termine è organizzare programmi e percorsi guidati per le scuole, «per sensibilizzare i bambini al rispetto della natura, quindi del Creato, e all'integrazione culturale», dice don Sergio. Mostra gli alberi di limoni, l'irrigazione dei pomodori, delle zucchine, delle melanzane, mentre le oche starnazzano poco più in là e Soe, bandana alla testa, dà la biada al cavallo. Tra pochi giorni, il 15 giugno, sarà il primo anniversario del loro sbarco a Palermo. «Il giorno della morte di tanti nostri fratelli, il giorno della nostra rinascita».
(Laura Anello, La Stampa 2 giugno)