mercoledì 10 giugno 2015

Se fossi Renzi leggerei con attenzione (bastano cinque minuti di concentrazione, senza twittare) il ragionamento post-elettorale del presidente della Toscana, Enrico Rossi, pubblicato su Huffington Post. Dice - sintetizzo come posso - che ogni partito, per esistere, deve esistere sul territorio; che se quel partito è di sinistra deve cercare con tutte le sue forze di cementare il «patto tra capitale sano e lavoro »; e di combattere, mettendosi in gioco anche come istituzioni, le fughe speculative del capitale (insano) «che distrugge il lavoro». Fa esempi, con nomi e cognomi, dell'una e dell'altra situazione: la "resilienza" di Piombino nel bene, i licenziamenti di massa alla People Care e alla Smith Bits nel male.
Rossi è, tipicamente, sinistra di governo. La sua voce non arriva dalle sacche sempre ricolme del settarismo e del narcisismo. Non impartisce lezioncine, non sprizza astio, trasuda esperienza. Parla dall'alto di una vittoria larga e tutt'altro che scontata, e di responsabilità di governo annose. Parla di «sinergia tra noi e Renzi», dove "noi" sta a indicare il governo della Toscana, non un astratto luogo politico di cui rivendicare la leadership. Da quella tradizione laboriosa, fattiva, moralmente schierata della sinistra italiana, Renzi ha qualcosa da imparare; e molto da guadagnare (anche elettoralmente) se dovesse chiedere notizie di quella strana parola, "territorio", che della politica è, né più né meno, la ragione d'essere.
Michele Serra

(la Repubblica 3 giugno)