martedì 30 giugno 2015

UGUALI E CONTRARIE

Due sto­rie bud­d­hi­ste uguali e con­tra­rie. La prima è nostra con­tem­po­ra­nea. Ini­zia a Man­da­lay, la capi­tale pre­co­lo­niale della Birmania/Myanmar, e rac­conta di un monaco indaf­fa­rato ad agi­tare gli animi. A pre­di­care che se sei bir­mano devi essere bud­d­hi­sta e nient'altro. Soprat­tutto non sei musulmano e se lo sei, devi andar­tene dal paese.
Una xeno­fo­bia ecci­tata e incen­dia­ria che ha già fatto troppe vit­time, soprat­tutto tra i Rohin­gya, popo­la­zione che abita lo stato Rakhine (già Ara­kan), che infatti sta fug­gendo e per­dendo vita e speranza nell'Oceano Indiano. U Wira­thu, il monaco in que­stione, pre­dica la purezza bir­mana del bud­d­hi­smo e ha ani­mato un movi­mento isla­mo­fobo, deno­mi­nato, secondo una nume­ro­lo­gia buddhistica, 969.
Adesso è l'ispiratore dell'Organizzazione per la Pro­te­zione della Razza e della Reli­gione, localmente nota con l'acronimo MaBa­Tha: c'è un com­plotto mon­diale dei musul­mani, sono i padroni del com­mer­cio e di molte imprese, le donne bud­d­hi­ste e-birmane non devono spo­sarli. Sosti­tuire musul­mano con ebreo e il nazi­bud­d­hi­smo si mate­ria­lizza all'istante.

Il nazi­bud­d­hi­smo
Le prediche-comizio del monaco sono molto seguite, dal vivo e online, e non è dif­fi­cile vedere il distin­tivo del 969 su taxi e auto­bus. Si pre­vede un futuro poli­tico di un certo rilievo per lui e il suo movi­mento.
Rea­gi­scono alcune orga­niz­za­zioni di donne che vedono in que­ste posi­zioni iper­na­zio­na­li­sti­che anche un incen­tivo a rie­su­mare pra­ti­che patriar­cali in declino. Reti­cente è invece Aung San Suu Kyi e il suo par­tito, la Lega Nazio­nale per la Democrazia-Lnd, per timore di con­tra­stare il dif­fuso sentimento che equi­para bir­mano con bud­d­hi­sta e che com­plica da sem­pre il rap­porto con le minoranze sia etni­che sia reli­giose, cri­stiani, indui­sti ecc.
L'attivismo di U Wira­thu non si ferma ai con­fini nazio­nali. A set­tem­bre è stato ospite di primo piano in Sri Lanka al con­gresso del Bodu Bala Sena, Forza di Potere Bud­d­hi­sta, una for­ma­zione altret­tanto radi­cale e isla­mo­foba. Una inci­piente inter­na­zio­nale del bud­d­hi­smo raz­zi­sta? Quando a gen­naio si è pre­sen­tata a Yan­gon la rela­trice delle Nazioni unite per i diritti umani, la sud­co­reana Yan­ghee Lee, pro­prio per veri­fi­care tra l'altro la puli­zia etnica con­tro i Rohin­gya, U Wira­thu l'ha pub­bli­ca­mente qua­li­fi­cata come «strega» e «put­tana». Sap­piamo dove porta que­sta reto­rica di disuma­niz­za­zione dell'avversario.
Canta un'altra can­zone la sto­ria bud­d­hi­sta che si con­clude a May­myo, a set­tanta chi­lo­me­tri di Manda­lay, dove la pri­ma­vera scon­figge le altre sta­gioni. Una inin­ter­rotta scena di fiori e di alberi, di cascate e di ombre. La luce, non si sa come, attec­chi­sce alla pelle. Una pic­cola pagoda bianca, priva della pom­posa impo­nenza che spesso ema­nano le archi­tet­ture bud­d­hi­ste, con­serva i resti di un monaco tra i più signi­fi­ca­tivi della sto­ria del bud­d­hi­smo mon­diale. Loka­na­tha, il suo nome, morto di can­cro a ses­san­ta­nove anni nel 1966, dopo una vita vis­suta tra Asia Europa e America.

L'utopia di Cioffi
Una esi­stenza agi­tata da un sogno, da una uto­pia per­se­guita senza com­pro­messi, quella della progres­siva con­ver­sione al bud­d­hi­smo dell'umanità, a comin­ciare dai suoi lea­der, e, di conseguenza, il rag­giun­gi­mento della fra­tel­lanza uni­ver­sale e della pace. Fa sor­ri­dere, ma era meno inde­cente di uto­pie con altri nomi dif­fuse con carri armati, droni o kalashnikov.
Il monaco bud­d­hi­sta Loka­na­tha altri non era che Sal­va­tore Cioffi, nato nel 1897 a Cer­vi­nara in provin­cia di Avel­lino. Ha quat­tro anni quando la sua fami­glia emi­gra a New York. Si lau­rea in chimica nel '22, lavora alla Proc­ter & Gam­ble, parla il fran­cese, suona il vio­lino, si iscrive alla Scuola di Medi­cina e Chi­rur­gia della Colum­bia Uni­ver­sity, ma la dis­se­zione degli ani­mali con­tra­sta con il suo pro­fondo sen­tire. Diventa vegetariano.
Qual­cuno gli passa un libro: «È stato il Dham­ma­pa­dha che cam­biò com­ple­ta­mente la mia vita. Divenni bud­d­hi­sta leg­gen­dolo». Sono 423 ver­setti, una sorta di testa­mento spi­ri­tuale del Bud­dha, una sin­tesi della dot­trina. Lascia la fami­glia, si imbarca verso est.
Nel 1925 Loka­na­tha viene ordi­nato monaco bud­d­hi­sta a Ran­goon, attuale Yan­gon, nella colo­nia inglese detta Bir­ma­nia. Una tre­menda e poco spi­ri­tuale dis­sen­te­ria lo riporta l'anno suc­ces­sivo in Ita­lia dove, a suo dire, con­vince le auto­rità mili­tari ad accet­tare la sua obie­zione di coscienza e a non spe­dirlo in caserma, ma i suoi piedi cer­cano nuovi sen­tieri da cal­pe­stare e solo con la loro spinta riprende la strada del ritorno in Bir­ma­nia dove arriva nel '28. Comin­cia una rigo­rosa con­dotta di vita fatta di stu­dio e di medi­ta­zione. Tra i suoi disce­poli c'è un gio­vane Aung San che sta per diven­tare il lea­der della lotta armata per l'indipendenza nazio­nale bir­mana con­tro gli inglesi, futuro e amato «padre della patria» e padre di Aung San Suu Kyi, icona vivente, pre­mio Nobel per la pace, attuale lea­der politica.

Il pel­le­gri­nag­gio energetico
Ma il monaco Loka­na­tha vede non solo se stesso, vede soprat­tutto l'infelicità cro­nica del mondo, vor­rebbe porvi rime­dio, per­ciò con­certa nei primi Anni Trenta alcune spe­di­zioni mis­sio­na­rie di monaci dal Sud Est Asia­tico a Bodh Gaya in India, nel luogo in cui Sid­d­har­tha Gau­tama rag­giunse l'illuminazione e divenne il Bud­dha sto­rico. Una spe­cie di pel­le­gri­nag­gio ener­ge­tico in vista della futura bud­d­hiz­za­zione dell'umanità. No, non gli sarebbe pia­ciuta que­sta parola, con­sen­tita però dalla deter­mi­na­zione con cui per­se­gue il suo dise­gno missionario.
Nel 1935 e nel '36 aveva avuto lun­ghi col­lo­qui in India con Bhim­rao Ramji Ambe­d­kar di cui è bene abbon­dare in defi­ni­zioni: padre, anch'egli, della Costi­tu­zione indiana, filo­sofo, eco­no­mi­sta, rivo­lu­zio­na­rio, scrit­tore, ecc. Soprat­tutto dalit cioè paria, fuori casta, intoc­ca­bile, diciamo noi. Con l'induismo non si esce dal sistema chiuso delle caste, con il bud­d­hi­smo sì, spiega Loka­na­tha. Vent'anni dopo Ambe­d­kar si con­verte pub­bli­ca­mente e con lui cen­ti­naia di migliaia di dalit indiani diven­tano bud­d­hi­sti. Una delle più grandi con­ver­sioni di massa della storia.
Nell'ora dei lupi della seconda guerra mon­diale gli inglesi inter­nano Loka­na­tha in India. Per­ché è ita­liano, dun­que nemico dichia­rato, o per­ché è stato disce­polo del noto monaco anti­co­lo­nia­li­sta U Wisara, morto di digiuno poli­tico in car­cere? Dieci anni dopo stessa sorte per U Ottama. Intrecci dell'anima e del mondo, poli­tica e mistica senza confini.
Dopo la guerra mon­diale, il bud­d­hi­smo appare a Loka­na­tha come «una bomba ato­mica d'amore». Torna negli Usa nel 1948, dopo aver pre­di­cato a Sin­ga­pore, Manila, Hong Kong, Shan­ghai Nel '49 è il momento del tour euro­peo. Prima di Lon­dra e altre capi­tali, passa anche a Torino, dove stava tra­du­cendo pro­prio il Dham­ma­pa­dha Euge­nio Frola, inge­gnere e mate­ma­tico, pro­fes­sore di geo­me­tria descrit­tiva al Poli­tec­nico, e fon­da­tore di un luogo di auscul­ta­zione della ragione, il Cen­tro Studi Meto­do­lo­gici, con Nicola Abba­gnano, Nor­berto Bob­bio, Ludo­vico Geymonat.

Ritorno a Rangoon
La lunga pere­gri­na­zione si con­clude nel 1951 con il ritorno in Bir­ma­nia a tes­sere altri legami, altri incon­tri e con­gressi inter­na­zio­nali bud­d­hi­stici mai avve­nuti prima. Lo anima una spe­cie di pas­sione che dire­sti poco bud­d­hi­sta: pre­pa­rare il ter­reno per una vasta cam­pa­gna mon­diale di con­ver­sione. L'umanità deve sapere che il grande dolore del vivere può essere messo a tacere, che il buio del mondo può essere sopraf­fatto dalla luce. Avvol­gere il mondo con la verità aveva scritto anni prima.
Un pic­colo dolore incide nella sua testa, poi, sem­pre più grande, lo porta alla morte, il 25 di mag­gio del 1966 tra i fiori pro­fu­mati di Maymyo.
Claudio Canal

(Il Manifesto 17 giugno)