«È possibile tollerare che uno Stato, membro da dieci anni dell'Unione europea come l'Ungheria, innalzi contro i profughi quei muri e quel filo spinato che ricordano la vergogna del dominio bellico nazista nell'Europa soggiogata da Hitler?». Con buona pace di Viktor Orban, il premier magiaro recalcitrante di fronte alle emergenze democratiche e valoriali dell'Europa e della compassionevole Germania, il grido che si è levato ieri pomeriggio, non a caso al Festival del diritto ideato da Stefano Rodotà a Piacenza, è altissimo e durissimo. Perché a pronunciarlo, incastonato in una prolusione attorno al nuovo Ordine Mondiale (allocuzione che si deve all'ultimo Henry Kissinger), è uno degli uomini che alla costruzione europea hanno dato un riconosciuto contributo: Giorgio Napolitano.
Dice il presidente emerito che, di fronte a comportamenti come quelli dell'Ungheria, «non basta il pur sacrosanto appello al principio di solidarietà», occorre «attivare le procedure di applicazione dell'articolo 7 del Trattato dell'Unione Europea per violazione palese e persistente dei valori su cui, ai sensi dell' articolo 2, si fonda l'Unione». Una prescrizione precisa, che magari ci si sarebbe aspettati di veder pronunciare da qualcuno dei 28 capi di Stato o di governo presente al tavolo del Consiglio di Bruxelles.
Non si nasconde, Napolitano, la riflessione comune a molti - e non da oggi, almeno da quando già al primo mandato lo stesso Orban sospese la liberta d'informazione - che forse meglio sarebbe stato procedere all'allargamento dopo aver stabilito i principi fondanti nel testo costituzionale poi confluito nel Trattato di Lisbona, e non prima, come invece è accaduto. «Molti europei» dice Napolitano, «avevano visto nell'ingresso nella Ue essenzialmente una prospettiva di benessere, mentre oggi i loro leader politici puntano a ottenere consenso elettorale promettendo "non una briciola per gli stranieri"». Ma si tratta di un «ripiegamento nazionalistico, di cui ci sono segni anche in altri Paesi, a scapito del senso dei .propri doveri come esseri umani».
Parole severe, alte e forti, che arrivano al cuore del problema gravissimo di cui è investita l'Europa. Perché poi c'è tutta una «sfida cruciale ai fondamenti dell'Europa del diritto e dei diritti» che consiste proprio nel diritto fondamentale all'asilo - affermato, ricorda Napolitano, «in molteplici Convenzioni o Carte internazionali ed europee, per non parlare della Costituzione italiana». E messo a repentaglio, insieme, è anche un diritto caposaldo dell'integrazione europea, e che riguarda direttamente i cittadini Ue: la libera circolazione nello spazio comunitario. Quando invece, dice Napolitano che fu il primo a ricordare la distinzione tra migranti e rifugiati davanti alle emergenze che pure si verificarono all'imbrunire del novennato quirinalizio, proprio «l'Europa del diritto, insieme di diritti fondamentali e doveri inderogabili, costituisce una tradizione storica, una somma di valori, una tangibile realtà di integrazione». L'Europa come «costruzione interna», fondamento possibile per dare apporto a un nuovo, e necessario, ordine mondiale.
Antonella Rampino
(La Stampa 25 settembre)
Dice il presidente emerito che, di fronte a comportamenti come quelli dell'Ungheria, «non basta il pur sacrosanto appello al principio di solidarietà», occorre «attivare le procedure di applicazione dell'articolo 7 del Trattato dell'Unione Europea per violazione palese e persistente dei valori su cui, ai sensi dell' articolo 2, si fonda l'Unione». Una prescrizione precisa, che magari ci si sarebbe aspettati di veder pronunciare da qualcuno dei 28 capi di Stato o di governo presente al tavolo del Consiglio di Bruxelles.
Non si nasconde, Napolitano, la riflessione comune a molti - e non da oggi, almeno da quando già al primo mandato lo stesso Orban sospese la liberta d'informazione - che forse meglio sarebbe stato procedere all'allargamento dopo aver stabilito i principi fondanti nel testo costituzionale poi confluito nel Trattato di Lisbona, e non prima, come invece è accaduto. «Molti europei» dice Napolitano, «avevano visto nell'ingresso nella Ue essenzialmente una prospettiva di benessere, mentre oggi i loro leader politici puntano a ottenere consenso elettorale promettendo "non una briciola per gli stranieri"». Ma si tratta di un «ripiegamento nazionalistico, di cui ci sono segni anche in altri Paesi, a scapito del senso dei .propri doveri come esseri umani».
Parole severe, alte e forti, che arrivano al cuore del problema gravissimo di cui è investita l'Europa. Perché poi c'è tutta una «sfida cruciale ai fondamenti dell'Europa del diritto e dei diritti» che consiste proprio nel diritto fondamentale all'asilo - affermato, ricorda Napolitano, «in molteplici Convenzioni o Carte internazionali ed europee, per non parlare della Costituzione italiana». E messo a repentaglio, insieme, è anche un diritto caposaldo dell'integrazione europea, e che riguarda direttamente i cittadini Ue: la libera circolazione nello spazio comunitario. Quando invece, dice Napolitano che fu il primo a ricordare la distinzione tra migranti e rifugiati davanti alle emergenze che pure si verificarono all'imbrunire del novennato quirinalizio, proprio «l'Europa del diritto, insieme di diritti fondamentali e doveri inderogabili, costituisce una tradizione storica, una somma di valori, una tangibile realtà di integrazione». L'Europa come «costruzione interna», fondamento possibile per dare apporto a un nuovo, e necessario, ordine mondiale.
Antonella Rampino
(La Stampa 25 settembre)