venerdì 12 febbraio 2016

Il Papa in Messico: un viaggio coraggioso

Se la gente lo aspetta a braccia aperte, le gerarchie non nascondono il nervosismo. Nervosi i politici perché Francesco visiterà periferie dove milioni di diseredati sopravvivono nell'abbandono della violenza: narcos, bande criminali, degrado delle baracche ormai città attorno alle città. Salirà nel Chiapas governato dal pugno di ferro dei papaveri al potere. "Per garantire la sicurezza" espropriano le terre e disperdono gli indigeni "indegni della società civile". Il subcomandante Marcos li ha raccolti nell'utopia di una rivoluzione impossibile. Due anni fa cambia nome e nessuno sa che faccia ha. Quando nella cattedrale di San Cristobal de Las Casas sulla tomba di Samuel Ruiz Garcia Francesco ne ricorderà il coraggio, confuso fra la folla magari Marcos sarà li ad ascoltarlo. Ruiz scandalizzava le gerarchie della Chiesa messicana non solo perché dalla parte dei disperati, ma per quel dire messa nelle tre lingue indigene, raccomandazione del Consiglio Vaticano II.

LE MILIZIE armate dai latifondisti non lo sopportavano. Cattedrale assediata. Anche il nunzio apostolico monsignor Prigione respinge la solidarietà dell'Osservatore Romano: "Ruiz in pericolo come Romero assassinato in Salvador? Sciocchezze. L'Osservatore non è la voce del Vaticano. Solo un foglio cattolico come tanti...". Adesso Francesco dirà messa nelle tre lingue e il disagio impasticcerà l'alto clero conservatore sintonizzato ai ministri mangiapreti nei 74 anni di governo. Ma le trame restano ambigue. Vescovi e politici legati da interessi contanti. Porporati comprensivi con la pedofilia risaputa di Marcial Maciel Delgado, fondatore dei Legionari di Cristo, profeta dell'integralismo esportato a Roma e nel mondo fino a quando Giovanni Paolo II lo obbliga a una vita ritirata di "preghiera e pentimento".
La distrazione della Chiesa messicana attraversa gli anni rispettando le amicizie. Non si accorge della dolce vita di monsignor Guillermo Schulenburg, abate del santuario della Virgen de Guadalupe, collezionista di Mercedes, campione nazionale di golf: affittava loculi scavati sotto l'altare a chi pagava prezzi da favola per la vita eterna fra le reliquie. Sospiro di Guzman Carriquiry, laico, amico di Francesco e segretario generale della pontificia commissione per l'America Latina: "La Chiesa messicana non può continuare a vivere di rendita del patrimonio ricevuto".

NERVOSI ANCHE i politici malgrado sbandierino contentezza, "onorati dal grande onore". Aprono le porte del palazzo presidenziale non sciogliendo il dubbio se la solennità dell'accoglienza riguarda la guida spirituale dei cattolici o il capo dello Stato Vaticano. Capo di Stato, insistono i governatori delle regioni border line. Niente libera uscita alle scuole.
I ragazzi non ascolteranno le sue parole perché la Costituzione non lo prevede. Ma è l'itinerario della visita a preoccupare il presidente Pena Nieto e i suoi yes men. Francesco non visiterà solo i luoghi topici della tradizione. Attraverserà città che l'ufficialità nasconde nelle ombre. Regioni controllate con la violenza che ad Ayotzinapa brucia i pullman degli studenti in cammino verso un pacifico congresso degli scontenti. Chi scappa, chi sparisce nella foresta. Poi Ciudad Juàrez, capitale del femminicidio; Ecatepec, piaga urbana attorno a Città del Messico, soprattutto il Chiapas degli indigeni calpestati: con Guerrero e Yucatan chiude il triangolo dell'oblio. Cimiteri dove i politici della capitale scendono solo per accendere il lume. Se l'accende Francesco qualcosa cambierà?
Maurizio Chierici

(Il Fatto Quotidiano 9 febbraio)