venerdì 5 febbraio 2016

“Stop all'isolamento per i giovani detenuti”

New York. «Nel 2010, un ragazzo di 16 anni del Bronx fu accusato del furto di uno zainetto. Fu imprigionato a Rikers Island in attesa di giudizio, e subì indicibili violenze da parte degli altri prigionieri e delle guardie. Ci rimase due anni, in cella d'isolamento. Nel 2013 fu rilasciato senza mai avere subito un processo. Riuscì a completare un semestre di college. Ma la sua vita era una lotta per guarire dal trauma di essere stato rinchiuso in una cella solitaria 23 ore al giorno. Un sabato, si è suicidato in casa sua. Aveva 22 anni».
A scrivere questa storia, in un articolo sul Washington Post, è un cronista d'eccezione: Barack Obama. Il presidente sceglie di raccontare sul giornale della capitale la storia di Kalief Browder per spiegare la sua decisione: stop alle misure d'isolamento carcerario per i minori.
«Ci sono 100mila detenuti in celle d'isolamento nelle prigioni americane, inclusi minorenni e malati menta1i», scrive. E' una punizione aggiuntiva oltre al carcere, quella del confinamento in spazi angusti, celle individuali, senza contatti con altri esseri umani. E non viene usata solo come un castigo eccezionale: per almeno 25.000 carcerati l'isolamento dura mesi o perfino anni.
Nell'annunciare la riforma delle carceri federali, Obama auspica «una più vasta riforma bipartisan». Cita papa Francesco: «Ogni essere umano è dotato di una dignità inalienabile, e la società può solo trarre benefici dalla riabilitazione di coloro che sono stati condannati per dei crimini».
Almeno in questo campo Obama non pecca per ottimismo eccessivo quando invoca un accordo tra democratici e repubblicani. La riforma del codice penale e delle regole sulle carceri sta procedendo al Congresso con un'intesa bipartisan. Tra le ragioni che convincono anche i repubblicani c'è l'aspetto economico, che Obama ricorda: "Spendiamo 80 miliardi all'anno per tenere in carcere 2,2 milioni di persone». A intasare le carceri ci sono, ricorda, «troppi condannati per reati non violenti».
La ragione per cui anche tanti minorenni sono colpiti con misure di estrema severità come le celle d'isolamento, è che il sistema giudiziario americano lascia ampia autonomia ai giudici che possono decidere di trattare l'imputato minorenne come se fosse un adulto. Eppure la stessa Corte suprema ha riconosciuto nel 2012 che i minori hanno diritto a un trattamento diverso.
Federico Rampini

(la Repubblica 27 gennaio)