Questo è il tempo della nostra responsabilità
(Luca
24, 46-53)
"Così
sta scritto: il Cristo dovrà patire e risuscitare dai morti il terzo
giorno e nel suo nome saranno predicati a tutte le genti la
conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme.
Di
questo voi siete testimoni.
E
io manderò su di voi quello che il Padre mio ha promesso; ma voi
restate in città, finché non siate rivestiti di potenza dall'alto".
Poi
li condusse fuori verso Betania e, alzate le mani, li benedisse.
Mentre
li benediceva, si staccò da loro e fu portato verso il cielo.
Ed
essi, dopo averlo adorato, tornarono a Gerusalemme con grande gioia;
e stavano sempre nel tempio lodando Dio.
Capire il linguaggio
L'ascensione
di Gesù al cielo è una di quelle numerose "rappresentazioni
"che la Bibbia registra nei due Testamenti. Nessun "razzo"
lo portò fuori dalla nostra orbita visiva.
La
Bibbia è piena di "quadri di discesa" e di "quadri di
ascesa".
Nel
linguaggio immaginifico e simbolico discese ed ascese contengono un
messaggio prezioso, espresso in queste modalità mitiche e letterarie
davvero suggestive.
Dio
invia dal cielo i suoi messaggeri (pensate alla vocazione di Isaia,
alla nascita di Gesù …), cioé Dio in qualche modo si fa presente
e ci fa giungere il Suo invito. Così pure Elia e Gesù vengono
rapiti in cielo o ascendono al cielo.Si tratta evidentemente di una
terminologia spaziale perchè nell'antichità si pensava che Dio
avesse un luogo di residenza ed occupasse uno spazio. Oggi le nostre
categorie mentali sono diverse. Però, fatte le debite mediazioni
linguistiche e culturali, resta intatto il messaggio.
L'immagine
è bella ed efficace: queste persone hanno
compiuto la loro missione
e ora tocca a voi.
Quel
Dio che li ha accompagnati affidando loro una missione, ora li
accoglie presso di sé, li riprende. Compiuta la missione, si torna a
Colui che ne è l'origine. Il "dipinto" lucano è sobrio ed
efficace.
Non
è il caso, dirà il libro degli Atti degli apostoli al versetto 11
del primo capitolo, di "stare a guardare il cielo".
Dunque,
anche qui il linguaggio pittorico è di un singolare rimando alla
realtà.
Per
i primi discepoli e discepole si trattò di prendere atto che Gesù
ora viveva con Dio. Il Risorto, il maestro e profeta che ha lasciato
una traccia, ora affida a loro il compito di proseguire l'opera
intrapresa.
Particolari illuminanti ed espressivi
Non
c'è parola da tralasciare in questi pochi versetti.
"Gesù
li benedisse": ancora una volta il maestro rassicura i
discepoli, li valorizza, dimostra fiducia, fa loro gustare la
certezza di essere avvolti dall'amore benedicente di Dio.
Non
solo: c'è un altro passaggio decisivo, un equipaggiamento
assolutamente necessario per poter continuare questo cammino: "sarete
rivestiti di forza dall'alto".
Gesù
si fa garante della promessa del Padre, lo "spirito santo"
come Sua presenza e sostegno per il tempo che verrà.
Ora
ha inizio una stagione nuova.
Gesù
non vuole che i discepoli rimangano ripiegati su se stessi o
nostalgicamente rivolti al passato:"li condusse fuori fino a
Betania e, alzate le mani, li benedisse".
Questo
condurli fuori all'aperto è una indicazione di viaggio. Dopo la
"sosta" a Gerusalemme, il Vangelo di Luca lascia
intravvedere il futuro al quale i discepoli e le discepole dovranno
far fronte: l'annuncio e la testimonianza del messaggio del nazareno.
Tutto
questo non li fa precipitare nell'angoscia: per l'evangelista, nel
cuore del gruppo dei discepoli che sono stati coinvolti nella
sconfitta del loro maestro, ora compare "una grande gioia".
E oggi tocca a noi
Sì,
proprio
noi oggi riceviamo questa consegna impegnativa, questa "eredità",
questo invito ad uscire verso Betania, nelle vie del mondo.
Ma,
se non siamo consapevoli che la compagnia benedicente di Dio è con
noi, se la "grande gioia" della fede non ha messo radici
nel nostro cuore, come possiamo essere testimoni affidabili e
veritieri?
Voglio
dire che spesso noi cristiani siamo gente religiosa, che compie
adempimenti rituali per disciplina o per abitudine, ma la
nostra fede sembra evaporata, liquefatta,
annacquata in uno stile di vita privo di gioia e di passione.
Non si testimonia nulla senza passione
Mi
piace dirlo con le parole laiche di un libro che consiglio caldamente
a tutti voi "Il
complesso di Telemaco" (Massimo
Recalcati, Feltrinelli): "perché la vita sia davvero viva è
necessaria una trasmissione del desiderio da una generazione
all'altra" (pag.39).
Come
per rigenerare senso e aprire nuovi sensi al mondo è necessaria una
testimonianza incarnata, così nel sentiero della fede il credente (
l'uomo e la donna di oggi) può calarsi in una esperienza e
coinvolgersi in essa solo in presenza di una testimonianza fedele
alla vita e appassionata.
Il
nostro riferimento a Gesù di Nazaret e ai primi discepoli ha questo
significato: facciamo affidamento su Dio, sul soffio vitale del Suo
spirito, per lasciarci coinvolgere in uno stile di vita che non ruoti
attorno ai nostri bisogni narcisistici, agli oggetti, ma faccia
centro sull'amore, sull'ascolto del grido della strada, senza mai
dissociare la nostra libertà dalle nostre responsabilità. Questo
significa la metafora "regno di Dio". La festa
dell'ascensione di Gesù si traduce dunque per noi in una consegna di
immersione nella storia del quotidiano.
Ti prego
Guardo
ogni giorno, o Dio, a Gesù di Nazaret, l'incontro che ha dato una
prospettiva nuova alla mia vita.
Non
lasciarmi cadere nell'abitudine, ma ravviva in me ogni giorno il
desiderio di essere un piccolo testimone della Tua presenza e della
Tua azione nel mondo.